E se le mosche avessero facoltà telepatiche? E se queste facoltà venissero trasferite al genere umano, cosa accadrebbe? I ditteri (Licosia Edizioni), di Marco Visentin, risponde a queste domande attraverso le vicende di un’entomologa che si muove all’interno di un mondo distopico, dove apparenza e realtà raramente coincidono.
Seppur I ditteri sia un romanzo che trae una forte ispirazione dai classici della letteratura distopica, se ne discosta in modo originale introducendo un elemento innovativo nella trama. Il libro di Visentin non prevede un personaggio che si ribella alla terribile realtà circostante o che, grazie all’intervento di qualcosa o di qualcuno, ad un certo punto, si ravvede e decide di far parte di gruppi sovversivi. Al contrario, I ditteri racconta la quotidianità di una ricercatrice immersa in un futuro alienante. La protagonista, Silvia K., sostanzialmente accetta la società in cui vive malgrado le individualità siano represse, i governi nazionali siano soppiantati da elitè finanaziarie e la realtà virtuale, da semplice gioco si sia trasformata in una necessaria via di fuga per riuscire a sopravvivere.
L’autore riesce a descrivere l’evoluzione degli eventi con una struttura narrativa ragionata, efficace e ritmata. Avvalendosi di diverse modalità espressive il racconto si fa estremamente eclettico: dal linguaggio epistolare si passa al quello del videogioco, dalla prima si passa alla terza persona, fino a momenti che rimandano a vere e proprie sequenze filmiche.
I vari stili narrativi sono ben amalgamati, restituendo al lettore delle immagini altamente vivide che, a nostro avviso, possono confluire come approdo naturale nella settima arte.
“I ditteri” lascia in dono al lettore una grande la riflessione sulle asperità del mondo contemporaneo e sull’esistenza umana costretta fra l’apparire e l’essere; un regalo che può provocare anche affascinanti momenti di smarrimento forse perché, alla fine, siamo semplicemente e tragicamente, ciò che appariamo.