Buongiorno amici Distopici, è con enorme piacere che apriamo la nostra prima intervista dedicata agli artisti con il grandissimo Max Bertolini.
Nato a Milano nel 1967 ha costruito una carriera fatta di enormi successi sin dal suo esordio su Fumo di china. Nella sua lunga carriera ha realizzato talmente tante collaborazioni che ci vorrebbe una pagina per elencarle tutte, possiamo citare Sergio Bonelli editore, Eura editoriale, Mondadori, Editrice Nord, Mediaset, Diesel, De Agostini e molti altri ancora, fino ad arrivare al suo ultimo lavoro pubblicato da Edizioni Inkiostro.
Buongiorno Max e benvenuto. Se per te va bene vorrei iniziare subito con qualcosa di diverso dal solito. Mostrati con tre immagini. Scegli tu quali e di che anno, che siano dettagli o bozzetti fatti sul tovagliolo del ristorante non ha importanza, devono raccontarci chi sei senza parole. Fatti conoscere con la tua arte.
Immagini bellissime, ricche e decisamente d’impatto. Raccontano bene chi sei e soprattutto cosa sai fare.
So che forse è superfluo per un professionista del tuo calibro, ma vuoi raccontarci chi sei e come sei arrivato a disegnare fumetti?
M– Sono autodidatta. Disegno da sempre e il disegno da ragazzo mi serviva anche come momento di riflessione e astrazione dalla realtà. Per lungo tempo avevo interrotto il disegno negli anni del liceo ma poi, dopo l’esperienza universitaria, ho capito che quella era l’unica cosa che desideravo davvero fare nella vita. Sono arrivato in Bonelli nel 1991 grazie a un mix di fortuna e molta, moltissima, determinazione. Avevo provato tutte le strade senza mai arrendermi e, dopo mille tentativi, ho avuto l’occasione di fare delle prove per Nathan Never, il personaggio su cui poi avrei lavorato nei successivi 25 anni.
Sei un professionista e di sicuro non hai iniziato dalla cima dell’Olimpo, hai dovuto scalare la montagna e immagino di siano stati molti attimi di difficoltà. Ti va di raccontarcene uno? Quel periodo in cui tutto andava male ma hai stretto i denti e preso l’imperfezione per trasformarla in quello che sei ora?
M– Ci sono stati moltissimi momenti di “distopia”, attimi in cui tutto sembrava essere diventato un incubo, ma sono sempre stati punti di svolta per esplorare nuovi settori nel campo del disegno. Ad esempio una ventina di anni fa ho iniziato a lavorare come illustratore perché volevo mettermi alla prova col colore, e perché non volevo essere completamente dipendente da un settore specifico dell’arte come il fumetto. Non fraintendetemi, amo il fumetto, ma per crescere bisogna anche osare ed è quello che ho fatto. Avevo in mente i grandi illustratori americani che avevo ammirato nella mia fanciullezza (si usa ancora questa parola?), Chris Foss, Boris Vallejo, Frank Frazetta per fare solo alcuni nomi. Avevo il forte desiderio di portare in vita le mie fantasie, è sempre stato così, ma credetemi non è stato facile. Mi sono scontrato con una realtà che mi stava schiacciando e ho dovuto ripartire da zero per riuscirci, mi sono rimesso in gioco e ho sfruttato le mie debolezze come stimolo per crescere.
Parlaci del tuo progetto. Perché Hangar 66 e soprattutto cos’ha di diverso dagli altri?
M– Hangar è la summa della mia arte finora, parlo a livello di bianco e nero a fumetti. L’ho creato perchè volevo creare qualcosa di mio, di completamente diverso e indipendente da quello che avevo fatto fino ad oggi. Un progetto che fin dalla sua incubazione era pensato per coinvolgere tutti i miei followers facendoli partecipare alle fasi della creazione. Chiararamente io avevo già in mente il soggetto e la direzione, ma il confronto è stato il propellente per rendere Hangar unico nel panorama dei fumetti e dei social. È il primo social-comic, con una comunità su Facebook che vanata 1200 iscritti nel gruppo omonimo “Hangar 66”. Pongo domande su come vorrebbero che si sviluppassero i personaggi, sugli ambienti, sulle locations… Loro si sentono per la prima volta partecipi e parte di un evento creativo. È molto soddisfacente sia a livello umano che creativo.
Passiamo agli elogi, tanto non sei uno che arrossisce. Tu sei un mostro sacro, solo osservando le tre immagini che ci hai regalato possiamo notare la precisione la cura del dettaglio che metti in ogni opera. Il tuo stile danza molto sul gioco di luci e ombre e riesce a dare spessore a tutto quello che disegni. Ovviamente c’è una grossa base di talento, molto lavoro e la voglia di non sederti sui tuoi successi. Dico bene?
M– Precisamente. Cerco sempre di andare oltre i miei limiti, che sono sempre molti a mio giudizio. È un lavorio mentale continuo, e ormai, quasi un mantra quotidiano. Guardo i lavori di colleghi, anche di ambiti artistici lontani dal mio (architettura, design, cinema e persino musica) cercando di riportare tutto nel mio lavoro. Un artista soddisfatto di se stesso è un artista morto.
Quando hai iniziato a chi ti ispiravi? I tuoi riferimenti sono cambiati nel corso degli anni?
M– Da ragazzo guardavo i disegnatori degli albi di super eroi che leggevo, Adams, Buscema, Kirby e naturalmente cominciai a disegnare con quell’impostazione, poi nel corso degli anni il gusto si raffina e si cominciano ad apprezzare altre forme stilistiche non necessariamente confinate nel mondo dei fumetti. Mi sono appassionato di art déco, neoclassicismo, impressionismo per poi cercare di riportare qualcosa nei miei fumetti e illustrazioni. Recentemente guardo con interesse la concept art di videogiochi e produzioni cinematografiche, i cartoni animati e i manga. Sono sempre molto curioso su tutto.
Come hai trovato il tuo stile?
M– Direi che a parte essere un amante della fantascienza, il mio stile si evolve in continuazione, io personalmente faccio fatica a vedere un filo conduttore nel mio lavoro. Ma tutti mi dicono che le mie cose sono molto riconoscibili… e se lo dicono loro allora ok, si vede che c’è ma io non riesco ancora a vederlo.
Tornando alla distopia, che tanto ci è cara, che difficoltà deve affrontare chi vuole tentare di seguire la tua strada?
M– Difficoltà… preferisco pensare in termini positivi e pensare alle opportunità. Se ti piace disegnare non devi necessariamente fare fumetti, puoi fare illustrazioni, concept art, dipingere, fare grafica. La vita è così, un po’ va dove vogliamo noi, un po’ dove decide lei.
Tre qualità che ti contraddistinguono e tre difetti che non riesci a superare?
M– Per le qualità ti direi: determinazione, precisione professionale, adattabilità a generi diversi. Difetti: gli stessi delle qualità! A volte essere troppo quadrati nel mio lavoro porta via un poco di fantasia e improvvisazione.
Ora più difficile. Tre sogni che ancora coltivi e tre che si sono infranti?
M– Sogno di vivere al mare. Per il resto sono soddisfatto della mia vita. Se c’è qualcosa che ancora vorrei fare il tempo non mi manca e neanche le possibilità, sono fiducioso e sempre ottimista, sono convinto che se mi applico posso.
Che progetti hai per il futuro? So che non ci rivelerai nulla dei mille progetti che hai in mente ma almeno un piccolo indizio che lo dai?
M– Voglio finire Hangar 66 in maniera gloriosa e poi farmi una bella vacanza di un mese, ahahah!
Caspita, mi hai fregato! Vabbè allora dovremo tenerti d’occhio per scoprire cosa bolle in pentola. Direi che abbiamo approfittato fin troppo della tua disponibilità. Grazie del tuo tempo e delle magnifiche tavole che ci hai inviato. Ci risentiremo presto.
M– Grazie a te!