Sì, lo so, il film (e quindi anche il libro da cui è tratto: Il gioco di Ender di Orson Scott Card; scritto nel 1985) è classificato come fantascienza. Ma dovete ammettere che ci sono venature di distopia: una società non ideale, visto che è stata attaccata dagli alieni, il quale scopo è quello di sconfiggere il nemico, servendosi del propri bambini.
Ma partiamo con la trama: Ci mettiamo nei panni di Ender Wigging, dodicenne, che grazie al suo talento riesce a farsi selezionare per essere addestrato alla Battle School, accademia in orbita intorno alla Terra. Qui, ragazzini si sfidano in giochi di simulazione per prepararsi a una guerra contro i Formic, guerra che potrebbe scoppiare da un momento all’altro: gli insettoidi hanno già attaccato il pianeta nel passato e sono stati cacciati grazie al coraggio dell’eroico Maze Rackham, che si sacrificò per distruggere la nave-madre degli alieni. Ender viene sottoposto a una serie di esami: il suo comportamento viene osservato continuamente, anche quando il ragazzo pensa di stare nel proprio tempo libero. Gli adulti stanno infatti cercando un giovane come lui, in quanto i bambini riescono a immagazzinare meglio le informazioni di un gioco come la simulazione della guerra. Ender impara presto a capire cosa un’organizzazione simile vuole da lui e per questo diventa il nuovo ammiraglio della flotta che dovrà attaccare i Formic.
Okay, e quindi perché parliamo di distopia? Be’, innanzitutto perché parliamo di una situazione in cui i cadetti dell’accademia (tutti ragazzini, ovviamente) sono costantemente osservati grazie a un trasmettitore impiantato nella nuca di ogni giovane: non parliamo solo di osservazione visiva dei gesti dei cadetti, ma anche delle loro emozioni e delle loro paure. Il controllo inoltre continua anche quando tale trasmettitore viene rimosso, per verificare il comportamento dei cadetti quando non si sentono osservati. Inoltre abbiamo la crème de la crème in una società: stanno usando i bambini per vincere una guerra. E qui si coglie anche un bel messaggio che a me è rimasto impresso: le nuove generazioni vanno lasciate pensare autonomamente. Non è il messaggio principale, che non posso rivelare senza essere odiato da tutti per aver peccato di spoiler. Stabilito che la venatura distopica c’è, passiamo alle mie impressioni: abbiamo un protagonista ragazzino che capisce il gioco degli adulti e riesce a superare le tappe grazie a questo. Un ragazzino che non tollera ordini da un’autorità solo perché questa ha due gradi in più cuciti sull’uniforme. Un piccolo uomo che riesce a comandare in un modo nuovo. Un protagonista di cui si ha bisogno durante la visione del film. Un protagonista che si arriva ad amare. Il film segue inoltre le varie promozioni di Ender, rendendolo dinamico e mai noioso. Lo spettatore si ritrova quindi ad affrontare tutte le prove che affronterà il protagonista, chiedendosi come risolverà le varie situazioni e avendo come risposta il film stesso. Sì, okay, la storia si sarà già sentita: alieni che vogliono invadere la Terra, guerra contro alieni, navicelle nello spazio e anche un po’ di pium pium alla Star Wars. Ma Ender’s Game non è solo questo.
Ender’s Game tocca tematiche come il contrasto tra gli adulti manipolatori e i contrasti degli adolescenti, l’insensatezza della guerra, il bullismo, la ricerca dell’equilibrio tra la violenza e la compassione e fare il necessario per la sopravvivenza della specie. Un film spesso sottovalutato a mio avviso, non da tutti compreso. Un film da non perdere, secondo me, e non solo per gli amanti della fantascienza e della distopia.
Alex Coman