Recensione: “Il cacciatore di sirene” di Domenico Mortellaro

Trama:

Nell’Italia buia del Ventennio, un caso provinciale di follia vede protagonisti un direttore del manicomio, un ispettore di Polizia inviato direttamente da Mussolini e Carl Gustav Jung.
Tra dinamiche degli archetipi e visioni di un universo appena adiacente al nostro, le vicende sono ambientate in un passato quasi alternativo, innominabile; tra considerazioni sulle meccaniche dell’insanità mentale e rabbiosi puntigli fasciofuturisti, il senso del reale si dipana in dimensioni dove il Male riemerge fetido, legandosi a leggende e a storie così sepolte nell’abisso del tempo da essere considerate, a loro volta, archetipi, strati immateriali fondativi del reale.
Il cacciatore di sirene è un teatro dell’assurdo e del weird che esplora i fantasmi del nostro passato e del nostro presente, mai sopiti e soprattutto, mai morti.

Recensione:

Romanzo weird con piccoli riferimenti all’ucronia ambientato in un’Italia fantastorica dove è tornato in auge Benito Mussolini. Di ciò che accade nel resto della nazione sapremo ben poco perché, fin dalle primissime pagine, la nostra attenzione verrà orientata su grave atto delittuoso che ha avuto luogo all’interno di un manicomio di una piccola provincia.
Il direttore di questo ospedale psichiatrico teme la reazione violenta del regime che – aspetto facilmente intuibile, ma purtroppo non abbastanza approfondito – reprime ferocemente ogni tentativo di insurrezione e insubordinazione, quindi trovarsi dinanzi un Ispettore di Polizia mandato lì nientemeno che dal duce in persona lo fa ammattire. Un prezioso e inatteso alleato in quest’avventura sarà Carl Gustav Jung, mentore del nostro direttore e punta di diamante del pensiero psicologico e psicoanalitico. I tre proveranno a ricostruire insieme il quadro della situazione, trovandosi faccia a faccia con qualcosa più grande di loro e una verità dal potenziale abnorme.
Affronteremo con loro un viaggio contorto scandagliando quel labile confine tra la psicopatia e la sanità mentale, dove quella sottile linea di demarcazione tra paziente e terapeuta vacillerà. Cosa c’è di più terrificante del dedalo intricato che è la mente umana?

Siamo nelle mani della sua follia, delle sue isterie? Bello, se fosse vero. Nemmeno lui controlla nulla. Quell’uomo è la variabile impazzita, adesso. Non governa; è il caos che implode, lui. Ed è pronto a trascinarci con sé.

Con sguardo lucido attraverso un irreale artefatto e orrorifico – dal taglio weird – l’autore dà vita ad uno svolgimento serrato che raggiunge il suo apice nell’agghiacciante e inaspettato epilogo. Ecco! Caratteristica portante dello stile del Mortellaro è la sua immediatezza, 189 pagine scorrono via in un battibaleno, grazie ad una narrazione quasi cinematografica, ché instilla nel lettore la voglia di sbrogliare quel torbido mistero e capire cosa sta succedendo. Un altro punto di forza di questo breve romanzo è certamente l’aver tratteggiato, con pochi tocchi, atmosfere grevi e opprimenti il cui centro è la pazzia, ma evitando di ricorrere a descrizioni ridondanti e a sterili giri di parole. MA non è esente da difetti, l’unica vera pecca ritengo siano stati i personaggi – pur apprezzandone il ruolo ai fini dell’intreccio – non mi hanno suscitato alcuna empatia, restando facilmente dimenticabili.

Elisa R

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