Buongiorno amici.
Come sapete, a noi di Leggere Distopico piace farvi conoscere persone la cui arte ha un nesso, seppur sottile con la distopia. Ed ecco che diverso tempo fa sono rimasta affascinata dal lavoro di Stefano Perego, un fotografo dal talento indiscusso.
La sua carriera è iniziata nel 2006 esplorando e fotografando le aree industriali abbandonate del Nord Italia, per poi proseguire esplorando centinaia di edifici abbandonati in Europa.
Nel frattempo ha sviluppato un forte interesse per l’architettura della seconda metà del XX secolo, concentrandosi in particolare sul modernismo, sul brutalismo e sul postmoderno.
Ha documentato un gran numero di edifici nei paesi dell’ex Unione Sovietica e nell’Europa orientale, specialmente nel Caucaso, nell’Asia centrale e nell’ex Jugoslavia.
Il suo lavoro è stato pubblicato sui più importanti siti Web di architettura, come ArchDaily, Designboom, Domus, Architectural Digest e molti altri, nonché su riviste e libri stampati, come l’Atlante dell’architettura brutalista pubblicato da Phaidon.
Stefano è il coautore del libro SOVIET ASIA (Soviet Modernist Architecture in Central Asia), pubblicato da FUEL, oggetto di costante interesse di numerosi media, come la CNN e Wired.
Collabora con studi di architettura, studi di progettazione, organizzatori di eventi e artisti.
Capirete quindi la mia gioia quando ha accettato di essere intervistato da me. Ma entriamo subito nel vivo e conosciamo meglio sia lui che la sua arte.
- Come ti sei avvicinato alla fotografia?
Il mio percorso fotografico ebbe inizio nel 2006 esplorando le aree industriali abbandonate di Milano, per poi ampliare il mio “raggio d’azione” al resto d’Europa dove ho fotografato edifici in disuso di ogni tipo, come chiese, manicomi e ville.
Nel frattempo ho sviluppato un forte interesse per l’architettura della seconda metà del ventesimo secolo, con un’attenzione particolare verso il brutalismo e il modernismo nelle repubbliche dell’est Europa e dell’ex Unione Sovietica.
Ampliamento del cimitero, dell’architetto Leonardo Ricci, 1984-1994. Jesi, Italia. La fontana di ferro originariamente costruita nell’area del Politecnico di Gyumri da Arthur Tarkhanyan, 1982. La fontana è ancora in piedi dopo che un forte terremoto nel 1988 distrusse gran parte della città. Gyumri, Armenia.
- Cosa provi quando ti ritrovi al cospetto di queste strutture?
Sorpresa e emozione, sempre! Non credo che potrò mai abituarmici! - Ci sono luoghi che hai fotografato che ti hanno segnato in maniera indelebile?
Sicuramente le repubbliche dell’ex Jugoslavia, che ho visitato e fotografato interamente in un unico viaggio nel 2015. L’uso massiccio del cemento armato a vista specialmente a Belgrado (Serbia) e a Skopje (Macedonia) e gli incredibili Spomenik, i monumenti sparsi su tutto il territorio e spesso in aree remote, hanno innescato in me la voglia di approfondire e di scoprire di più sull’architettura di quella parte di mondo, segnando un punto di svolta nella mia carriera fotografica. - Cos’è per te la fotografia?
Da un lato la fotografia per me è la necessità di creare un documento. Molte delle architetture che fotografo sono poco conosciute e si trovano in aree del mondo poco visitate. Oltretutto una buona parte di questi edifici è a rischio, in quanto spesso vengono demoliti o rinnovati alterando la loro natura e di quella dei quartieri in cui si trovano. Quindi la fotografia in questo caso serve a mostrare, a far conoscere e sensibilizzare le persone su un certo tipo di argomento, ma anche a salvare il ricordo di qualcosa che molto probabilmente a breve sparirà.
Dall’altro lato per me guardare una fotografia dev’essere un’esperienza. Cerco sempre di fare in modo che chi guarderà una determinata foto abbia la possibilità di potersi immedesimare, di poter immaginare e di lasciarsi piacevolmente trasportare all’interno della scena.
Memoriale di Ilinden, noto anche come Makedonium, di Jordan Grabuloski e Iskra Grabuloska, 1974. Krushevo, Macedonia Cappella di Hildegardis, dell’architetto Gottfried Böhm, 1962-1970. Düsseldorf, Germania.
- Gli edifici che vediamo nei tuoi scatti, li consideri un espressione del tempo in cui sono stati realizzati? Oppure alcuni racchiudono i sogni di chi il ha progettati?
Sono sicuramente la testimonianza di un’era e del suo valore artistico. Gli anni ’60 e ’70 sono stati anni di grande creatività e sperimentazione che hanno profondamente cambiato l’aspetto delle città, specialmente nell’ex Unione Sovietica. Grandi facciate in cemento venivano arricchite con elementi geometrici e materiali della cultura locale, la corsa allo spazio influenzava l’architettura con costruzioni a forma di UFO, il moderno e il tradizionale si fondevano creando dei contrasti davvero sorprendenti. - Un luogo che vorresti immortalare nei tuoi scatti?
Ci sono moltissimi edifici che vorrei fotografare in Brasile. Prima o poi! - Come trovi i luoghi che desideri immortalare? Per caso, oppure c’è dietro un’accurata ricerca?
C’è una ricerca molto approfondita. Prima di ogni viaggio passo molto tempo (a volte si parla di settimane) cercando edifici che mi interessano utilizzando libri, siti che trattano d’architettura, forum in diverse lingue e esplorando grandi aree con le immagini satellitari. Dopodiché passo allo studio dello spazio e della luce, che mi permette di capire quando potrò trovare la luce che preferisco per fotografare una determinata architettura. A quel punto creo una mappa molto dettagliata con il percorso da seguire. - Come ti vedi fra 10 anni?
Senza dubbio in viaggio a fare quello che mi piace, in qualche zona remota con uno zaino in spalla e la macchina fotografica 🙂
Kihoku Tenkyukan, museo astronomico e osservatorio progettato da Takasaki Architects, 1995. Kanoya, Giappone. House of Fashion, dell’architetto Vasilij Iosifovich Gerashenko 1962-1967. Rilievo “Solidarietà” dello scultore Anatol ‘Yafimovich Arcimovich. Minsk, Bielorussia.
Ora non mi resta che ringraziare Stefano per essere stato con noi e per averci fornito queste fotografie spettacolari che ha scattato in giro per il mondo. Guardando questi edifici, non vi pare siano avvolti da un’atmosfera Distopica?
Se volete approfondire ancora di più l’arte di questo bravissimo fotografo, vi consiglio di seguire il suo profilo Instagram! Non ve ne pentirete!
Alla prossima ragazzi!
Un bacio dalla vostra Distopica Liliana Marchesi