Salve gente! Un po’ di distopia sociale ne volete?
Eccoci qui con il mio parere su un altro romanzo: Il Piccolo Principe è morto (Edizioni Fogliodivia) di Riccardo Lestini. Devo ammettere che quando ho letto per la prima volta il titolo, ho pensato subito che fosse una “furbata” per appoggiarsi a un grande classico e attirare più lettori. Forse è così, ma sapete cosa vi dico: non mi interessa, non più, ora che l’ho appena finito di leggere.
Ma partiamo dall’inizio. Copio e incollo la trama da Amazon:
Questa è la storia di un ragazzo che non avrebbe mai scambiato un serpente che mangia un elefante con un cappello. È la storia di un “Piccolo Principe” degli anni ’80 che deve fare i conti con le difficoltà di diventare adulti, con una vita grigia e monotona, fatta di pochi amici, un padre assente, una madre depressa e nessun progetto per il futuro. Finché non incontra lei, Riccioli Neri, che gli restituisce la gioia di vivere, la forza per superare ogni difficoltà e la passione per il libro Il Piccolo Principe, che lui rilegge di continuo e che si porta dietro ovunque vada. Ma come tutte le belle storie, ad un certo punto l’incantesimo si spezza. Piccolo Principe si ritrova di nuovo da solo, impaurito, privo di certezze. Torna alla sua vita silenziosa e triste. E questa volta è più fragile. Una fragilità che fa paura, che lo scaraventa in un mondo buio, spietato, violento. Piccolo Principe si illude di trovare nell’eroina tutte le carezze mai ricevute e le risposte che cercava per tenere distante il dolore.
Ecco, la trama mi ha attirato sin da subito, anche se il mio sospetto che si trattasse di un titolo “attira lettori” aumentò una volta letta. Per avere un titolo del genere bisogna avere prima di tutto coraggio, ma soprattutto la capacità di essere all’altezza di un classico simile. Ecco, devo ammettere che Riccardo Lestini mi ha piacevolmente sorpreso. Non solo si è dimostrato all’altezza di un’impresa così impegnativa, ma ha saputo anche tenermi incollato alle pagine (allo schermo, nel mio caso).
Merito del suo stile, immagino, che scivola come acqua sull’esofago, facendomi venire però ancora più sete. Il romanzo è scritto in terza persona, con spruzzi di onniscienza qua e là, spruzzi che di solito a me danno fastidio, ma che questa volta ho accettato di buon grado.
Avete presente quei libri che vi fanno strappare del tempo? Quei libri che vi invogliano di avere quei cinque minuti liberi per continuare la lettura? Quei libri che non vedete l’ora di arrivare a casa, o all’ora di andare a letto, solo per poterli leggere? Ecco, questo romanzo è uno di quei libri.
Il protagonista non ha un nome – come la maggior parte dei personaggi nel romanzo – ma solo il soprannome di Piccolo Principe, dovuto proprio al romanzo omonimo regalatogli dalla sua innamorata, Riccioli Neri, come potete leggere nella trama. E su questo non posso davvero dirvi più di tanto, perché è tutta qui la trama, semplice e perfetta allo stesso tempo. Per questo non mi dilungherò troppo.
Quello che conta davvero per la storia è che il protagonista capisce proprio grazie a questo libro che la gente non è capace di vedere le pecore attraverso le casse. La maggior parte del mondo scambierebbe davvero un serpente che ha mangiato un elefante per un cappello.
I personaggi, anche senza un nome, sono ben disegnati e non a livello fisico, ma emotivo. Ambientati negli anni ’80, possiamo anche farci un’idea di come fosse la vita in assenza dei social e degli smartphone. Durante la lettura, una domanda che sorge spontanea è: se fosse ambientato nel nostro tempo, nel 2020, la storia sarebbe stata la stessa? Ecco, senza spoilerare, mi limito a dire che sì, io credo proprio che la gente non sarebbe comunque capace di vedere le pecore attraverso i muri delle casse.
Come già accennato, è una lettura scorrevole, con alcuni spunti qua e là – del resto parliamo sempre del Piccolo Principe che di spunti ne ha a bizzeffe. Una lettura che porta a pensare e invoglia a continuare allo stesso tempo. Chiedetevi questo: come sarebbe il Piccolo Principe, quello vero, quello originale, se fosse finito nel brutto giro della droga? Cosa ne sarebbe del Piccolo Principe se per scappare dal dolore del mondo si rifugiasse nel calore dell’eroina? Ecco, il romanzo risponde anche a questa domanda.
E arriviamo a quello che secondo me è il messaggio: come si può capire anche dalla trama, ci sono frammenti del romanzo che criticano – a livello inconscio quasi – la società moderna e di come questa società ha impostato la vita della maggior parte della gente. Il futuro di quasi tutti noi è quello di avere una casa e un lavoro, per sempre, fare le stesse cose e annoiarci infine nel nostro lavoro, aspettando la morte. Forse un disegno della vita troppo semplice, okay, ma molto vero, anche nei nostri giorni. Per quelli che non scambierebbero mai un serpente che ha mangiato un elefante con un cappello questa vita può far paura, tanta da essere quasi dolorosa.
E mi fermo qui. Ottima lettura, ottima storia, ottimo romanzo. I miei più sinceri complimenti all’autore. Devo ammettere che ho già iniziato a sforzarmi di vedere le pecore attraverso le casse grazie a lui. Un romanzo da consigliare.
Alex Coman