Recensione: “Pechino pieghevole” di Hao Jingfang.

Trama:

Pechino è divisa in tre spazi e le ventiquattr’ore di ogni giorno sono state accuratamente organizzate per salvaguardare il tempo e l’aria che respira l’élite, composta da cinque degli ottanta milioni di persone che abitano la metropoli. Tutti gli altri, incastrati nella rigida stratificazione urbana, si spartiscono quello che rimane. Lao Dao è nato nella città pieghevole e lavora in discarica come suo padre. Vive nel sottosuolo, ma per consegnare una lettera in cambio di denaro si intrufolerà negli spazi della classe media e di quella alta, scoprendo l’esistenza di mondi diversi dal suo. Catastrofe ecologica, tecnologie di sorveglianza e disuguaglianze sociali stravolgono il tempo e lo spazio in Pechino pieghevole, l’emblematico racconto che dà il titolo a questa raccolta folgorante, un caso letterario che si inserisce nell’«ultra-irrealismo» (chaohuan), il nuovo genere letterario ispirato dalla realtà allucinata della Cina odierna. Negli undici racconti, Hao esplora la fragilità umana alle prese con gli spettri del cambiamento e del possibile, l’intelligenza artificiale e l’automazione, costruendo una narrazione pervasa di sensibilità per quest’epoca di incertezza, solitudine e disorientamento.
Se la science fiction è il realismo dei nostri tempi, Hao Jingfang rivela angolazioni inattese ed estreme da cui osservare il mondo futuro in cui già viviamo.

Recensione:

Pechino Pieghevole” è solo il primo racconto che dà il titolo a quest’antologia di letteratura di genere composta da undici.
Ci troviamo in una città sovraffollata dove gli abbienti godono di spazi più ampi e aria più pura, mentre, il resto della popolazione sta ammassata nella poca area rimanente, quasi come sardine in scatola. L’aggettivo “pieghevole”, infatti, non è casuale, serve a mettere in risalto quanto angusti siano gli anfratti dove viene stipata la gente. La struttura architettonica della capitale è automatizzata: gli spazi ruotano e si intersecano, dando vita a vere e proprie transizioni che portano scompensi tangibili per le fasce socialmente più deboli, ad esempio un minor lasso di luce naturale e anche un quantitativo limitato di acqua che scorre dai rubinetti.
Lao Dao, il protagonista, si infiltra tra i quartieri alti di questa metropoli dalla geometria scalena. Quello che, per noi, si sviluppa in una cinquantina di pagine, per Lao avviene in appena quarantotto ore. Ciò nonostante – come osservatori silenti – assistiamo alla presa di coscienza dell’uomo su ciò che lo circonda. Non posso svelarvi l’epilogo per ovvi motivi, ma vi garantisco che è congruo con quanto l’autrice ha esposto.
L’elemento distopico è subito chiaro, a partire dalla stratificazione sociale suddivisa per l’aspetto economico. L’originalità sta tutta nell’idea di partenza condensata in una manciata di pagine, una situazione paradossale presentata in maniera geniale con una punta di audacia\provocazione che non guasta.
(Tra l’altro mi ha ricordato un articolo del 2013 – corredato di foto – dove si diceva che ad Hong Kong una buona fetta degli abitanti del paese vive in abitazioni inadatte agli standard di vita umanamente accettabili – poco spazio e scarse condizioni igienico-sanitarie – il governo aveva approvato delle misure di sostentamento per fronteggiare la situazione, ma ahimè con scarsi risultati).
L’autrice si è destreggiata bene con la scelta di un genere peculiare come lo è la fantascienza, a riprova del suo talento è stata premiata, nel 2016, con il prestigioso Hugo Award, proprio per il racconto Pechino pieghevole.
Le raccolte di racconti spesso peccano di mancanza di omogeneità di contenuti, ma devo ammettere che questa è ben bilanciata. Non voglio pronunciarmi sugli altri racconti per non rovinarvi il piacere di scoprirli da voi, ma voglio citarne uno che mi ha molto colpita: Le stanze della solitudine. Ho avuto l’impressione di trovarmi immersa nelle atmosfere ambigue dell’episodio “San Junipero” della serie tv Black Mirror, anche se il racconto vira verso una direzione totalmente diversa.
Ciò che mi ha impressionata, leggendo, è l’indifferenza degli abitanti, non c’è alcuno spirito di ribellione ad accendere gli animi, ma anzi passività e accettazione sono dilaganti dinanzi a questo sistema oltremodo iniquo. Hao Jingfang ci presenta scorci di grande impatto su una nazione, la Cina, sull’orlo del collasso dove il sentimento che serpeggia indomito è quello di una profonda solitudine e preoccupazione per la catastroficità incombente data anche dal predominio imperante della tecnologia.
Volti e situazioni si mescolano dando vita a un connubio vincente di sci-fi sociologico; la misuratezza tipica degli autori orientali emerge anche qui; una tramatura sottile e senza grandi clamori, ma nella quale Hao Jingfang riesce ad inserire argute allusioni dell’attuale situazione in Cina attraverso una lente deformante; si percepisce molto il background sociale relativo al Partito, ma anche a tematiche come il sovrappopolamento.
Un valore aggiunto di quest’edizione – pubblicata da ADD Editore – è la traduzione direttamente dal cinese.

Elisa R

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