Trama
L’ingenuo ingegner Marek inventa un “carburatore” che disintegra completamente la materia, convertendola in energia utilizzabile a scopi industriali. G.H. Bondy, presidente della MEAS, s’impossessa del brevetto prodigioso per trasformarlo in un affare di proporzioni mondiali. Carburatori vengono installati un po’ ovunque. C’è solo un problema: della materia disintegrata sopravvive una sorta di gas, l’Assoluto, che genera in chi lo inala stimoli religiosi e irrefrenabili attacchi di bontà. L’improvvida invenzione scatena una catastrofe industriale, scontri tra le religioni, baruffe diplomatiche, una guerra santa in Germania e un immane conflitto senza più confini, tra visioni apocalittiche e bordate di satira.
Recensione
L’ingegner Marek ha dato vita ad un carburatore che produce L’Assoluto, lui stesso lo definisce: “Dio in una forma chimicamente pura”: esso non ha sembianze visibili, è evanescente e scomposto quasi come un gas nervino e i suoi effetti sono miracolosi nel senso letterale del termine.
L’affarista Bondy, mosso dall’ambizione e dalla sete di denaro, accetta le condizioni di Marek; in quell’invenzione vede solo una grande opportunità di guadagno. La diffusione in scala mondiale di questi carburatori però sfugge di mano; saranno diversi i personaggi destinati ad assumere di volta in volta un ruolo da protagonista, comprimario o comparsa ma tutti volti a raccontare questa sorta di tragicomico disfacimento.
Si assistette nel mondo ad un’illimitata abbondanza di tutto ciò di cui la gente ha bisogno. La gente però ha bisogno di tutto tranne che di un’abbondanza illimitata.
È proprio allo scrittore ceco Karel Čapek che si deve l’uso del termine “robot” – grazie al suo dramma fantascientifico R.U.R. Rossum’s Universal Robots (altro gioiellino che vi consiglio caldamente di recuperare) – come lo intendiamo adesso. Pubblicato per la prima volta nel 1922, La fabbrica dell’Assoluto vede un’invenzione innovativa per quei tempi, ma ad oggi superata: il carburatore.
Corredato al suo interno dalle illustrazioni di Josef Čapek, fratello dell’autore, il romanzo appartiene alla categoria dei feuilleton perché originariamente Čapek inviò alla redazione del giornale Lidovè Noviny il manoscritto, successivamente dato alle stampe per episodi sulla suddetta rivista. Se questa ripartizione inizialmente fa pensare a una slegatura tra i vari capitoli, tuttavia, leggendo il corpus nella sua interezza si nota subito che continuità e coerenza vengono comunque ben preservate.
Un romanzo breve ma carico d’ironia e scevro da qualsivoglia romanticismo, che talvolta sembra vestire i panni di una commedia degli equivoci che porterà a catastrofiche conseguenze.
Dissacrante e provocatorio pur essendo figlio del suo tempo, con una scrittura al vetriolo ma che non termina mai in volgarità.
Lo scrittore tratteggia il ritratto di un’umanità bislacca in un milieu catastrofista, e sbugiarda con grande ironia e acume i pregiudizi e le convenzioni che dominano la società novecentesca a cui appartiene. È riscontrabile anche una schietta invettiva ai controsensi della religione, riservando una particolare considerazione a quel fanatismo mistico che sfocia inevitabilmente in sanguinose guerre sante.
L’uomo è il peggior nemico di se stesso.
Elisa R