Continua il mio progetto di una lettura integrale di tutta l’opera di Philip K. Dick con questo romanzo del 1967, il cui titolo originale è assai diverso dalla versione italiana: The Zap Gun, espressione piuttosto oscura che indica nella tradizione fantascientifica americana la pistola a raggio, un’arma del futuro che ha un ruolo particolare nella parte finale della narrazione.
Lo stesso Dick, nel valutare questo suo lavoro, distingueva una prima parte piuttosto confusa e una seconda molto più avvincente. Il lettore non può che concordare.
All’inizio, infatti, non è ben chiaro lo sviluppo della narrazione, che vede protagonista Lars Powerdry, un creatore di nuove armi, che le progetta cadendo in una specie di trance, un sonno profondo durante il quale vede e disegna i nuovi strumenti di guerra. Compare ben presto un’antagonista Lilo Topochev, giovane ragazza dell’est che sembra ottenere gli stessi risultati e in qualche caso addirittura anticipare Lars nelle sue invenzioni. Di fronte a un pericolo drammatico per l’umanità, l’arrivo di una flotta aliena che annienta una alla volta le grandi città del pianeta, Lars e Lilo sono chiamati a collaborare, a unire le forze per trovare un’arma in grado di sconfiggere gli alieni.
Alla fine l’arma viene trovata, anche se in modo bizzarro, in un giuoco, La Creatura nel Labirinto, in grado di annebbiare le menti di chiunque, anche di un essere alieno.
Nell’intreccio si inserisce la storia d’amore di Lars e Lilo, resa più complessa dall’apparizione di un’amante parigina di Lars che finirà uccisa dalla stessa pistola con cui minaccia la rivale Lilo.
D’altra parte l’ambigua giovane russa tenta più volte di uccidere Lars in un groviglio di sentimenti inestricabile, fedele specchio della confusione affettiva dello stesso Dick.
Ma nella trama compaiono anche i vertici militari russi e americani rappresentati da due generali che giocano con i destini del mondo e dei personaggi come dei bambini giocherebbero con i propri giocattoli.
A complicare ulteriormente la trama si aggiunga la profusione di sigle, acronimi, neologismi (i purioti, i beconsi, i santocci, i santori…) che ben si accoppiano con i numerosi infantilismi piazzati da Dick quasi a voler ribadire al lettore una fondamentale origine ludica di tutta la grande politica mondiale. Il gioco è infatti, a mio avviso, il vero protagonista nascosto di tutto il romanzo.
La parte finale in questo senso ruota intorno a quel divertimento da ragazzi, La Creatura nel Labirinto, nel quale un essere minuscolo cerca inutilmente di trovare l’uscita da un mondo labirintico ma, nello sforzo di superare l’impossibile complessità dello spazio, cioè del mondo, i giocatori finiscono per perdere la ragione. Il gioco rappresenta insieme la più straordinaria arma inventata dagli esseri umani e una folgorante metafora del potere.
In un’America ancora dominata dalla guerra fredda, Dick, per sua natura antipolitico, legge la realtà come un groviglio di infantilismi, di situazioni grottesche, di ossessioni paranoiche, di storture e di insensatezze. Perennemente preda di complottismi e di possibilità assurde, i suoi personaggi paiono tutti marionette, pezzi di un gioco che sfugge al controllo. Quello di Dick è un mondo dove i livelli di realtà sono definitivamente scompaginati.
STEFANO ZAMPIERI
Troppa attesa! Neache i migliori durano così tanto