Recensione: “Dystopia-a natural history” di G. Claeys.

Dystopia: A Natural History - Gregory Claeys - Libro in lingua inglese -  Oxford University Press - | IBS

TRAMA:

Dystopia: A Natural History is the first monograph devoted to the concept of dystopia. Taking the term to encompass both a literary tradition of satirical works, mostly on totalitarianism, as well as real despotisms and societies in a state of disastrous collapse, this volume redefines the central concepts and the chronology of the genre and offers a paradigm-shifting understanding of the subject.

RECENSIONE:

Ora che capita sempre più spesso d’imbattersi in esclamazioni secondo cui viviamo in una distopia, che la distopia è qui ed ora, che il capolavoro di Orwell viene citato in continuazione a proposito ed a sproposito, ora, si diceva, pare il momento migliore per presentare questa monografia, frutto di decenni di studio di un intellettuale che ha già offerto numerosi saggi su utopia e distopia nel contesto di una più ampia e articolata storia del pensiero. Questo libro è infatti una lettura impegnativa e allo stesso tempo chiara e dotta, un ottimo esercizio di apprendimento e di riflessione, che si auspica sia presto disponibile al pubblico italiano in traduzione in quanto per completezza ed esaustività molto ha da offrire ai lettori italiani.

Frutto di un pensiero laico e pessimista la distopia, come oggi la conosciamo, da Wells in poi, sostiene l’autore, è un genere che va ricollocato nel contesto della storia del pensiero umano, perché viene da lontano, da ben prima della rivoluzione industriale e di quella francese, e anche da prima di Moro e dell’Utopia, di cui non è proprio figlia, ma cugina prossima. Nata in contrasto con la trasparenza ideale e quindi anche come elemento d’inquietudine al di fuori e oltre l’immediato e il conoscibile, la distopia è ciò che sta oltre il limite del giusto, dell’ideale, dell’auspicabile.

Claeyes dimostra nella prima parte del libro come la distopia affondi le sue radici concettuali nella volontà umana di pensare altri mondi, altre realtà, altrove, lontano, che precede il secolo dei viaggi di esplorazione e delle grandi scoperte geografiche. La distopia non è quindi la proiezione di un aspetto poco gradevole del nostro presente (o di quello dei nostri nonni e bisnonni) nel futuro, arricchito e abbrutito da sconvolgimenti storici e disastri naturali, è al contrario un modo di far letteratura che si accompagna da sempre con il concetto letterario per antonomasia, ovvero la crisi e le sue conseguenze. La distopia nasce dal confronto con l’altro da sé, dall’osservazione attenta del presente e della storia, dalla realizzazione che il male ha sempre fatto parte della società e che troppo spesso ha trovato il modo d’imporsi. Da qui l’attenzione di Clayes, nelle parti mediana e finale del suo libro per le realtà carcerarie passate e presenti, per il pensiero economico e gli studi sulla folle e sulla psicologia delle folle, per le grandi rivoluzioni e per i regimi che ne sono scaturiti, per gli studi sul carattere umano e sull’empatia e ovviamente per la psicanalisi, componente immancabile in ogni saggio angloamericano.

Dalla storia all’antropologia, dalla sociologia alla storia del pensiero politico fino all’analisi letteraria questo libro è un’indagine esauriente e stimolante sulla presenza e sul permanere dell’elemento distopico nel pensiero umano e nelle sue sublimazioni artistiche e rappresentative, un bellissimo viaggio di arricchimento e approfondimento di cui si sente il bisogno in questo momento di crisi profonda non più dei valori, come si diceva fino a ieri, ma delle radici stesse dell’esistenza umana sul pianeta che da secoli ci ostiniamo a violentare in un tragico e assurdo gioco alla roulette russa.

Roberto Risso

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