Ho dovuto aspettare prima di scrivere questa recensione di Sinfonia per Theremin e Merli di Andrea Viscusi, edito dai (barbuti) ragazzi di Zona42. Il motivo è molto semplice. Continuavo a chiedermi: ma cosa posso dire io rispetto a un’opera di tale fattura? Non posso aggiungere molto in effetti, ma forse offrire un personale punto di vista è già qualcosa di importante per la divulgazione di lavori così ben riusciti.
Di cosa parla il libro
Siamo di fronte a una sorta di ucronìa dove il Teorema di Incompletezza di Gödel del 1931, ha letteralmente fatto sparire la matematica e i numeri dal vivere comune, per il semplice motivo che non funzionava più a dovere. O meglio, tutte le implicazioni teoriche risultavano giuste, ma alla pratica dei fatti, non erano più applicabili a nulla nel mondo reale.
Il tutto porta ovviamente a una crisi profonda, economica e sociale, in un contesto già di per sè parecchio problematico come quello dell’inizio degli anni trenta, che nel nostro paese ha significato anche il culmine del fascismo. E proprio tramite le vicende di una famiglia di Firenze, viviamo questa situazione incredibile che ci racconterà non solo di un mondo dove i numeri sono ormai “tabù” impronunciabile, ma anche dell’evoluzione della storia italiana in una direzione quanto mai imprevedibile.
Numeri, Theremin e merli. La recensione.
La premessa di questo romanzo è già qualcosa di impensabile. Come riuscire a imbastire un mondo dove non si possano utilizzare in alcun modo i numeri e la matematica? Come dare una logica sensata a tutto questo, senza perdersi in continue spiegazioni filosofiche?
La grande sfida di Viscusi non era in effetti mettere in scena una storia interessante, cosa che l’autore riesce a fare sempre molto bene (tra l’altro con un lavoro pazzesco di ricerca e documentazione storica evidente), quanto non prendere una deriva troppo complicata per spiegare meglio qualcosa di estremamente complesso e filosofico.
La strada che intraprende è quindi quella di fornirci un doppio canale di apprendimento. Due linee narrative che si intersecano alla perfezione, lasciandoci costruire pian piano questo mondo particolare, riempiendo i buchi e le domande che man mano saltano fuori.
Da una parte c’è il tempo di Alceste, che vive in prima persona i giorni in cui comincia il reale cambiamento, quelli in cui il Teorema di Godel viene presentato al mondo, modificando il paradigma stesso con cui agiscono i numeri come una specie di magia. Alceste è un uomo di scienza, abile di ingegno al punto da costruirsi da solo un Theremin che ci accompagnerà lungo tutto questo viaggio, così come in grado di accorgersi tra i primi che qualcosa non sembra più funzionare a dovere.
E poi c’è suo nipote, Andrea, che ci racconta tratti del suo presente in cui cerca di mantenere viva l’idea della matematica insieme al gruppo di “Pitagorici” di Firenze e parte del suo passato che rivive attraverso il diario di sua nonna. Tutto questo mentre Mussolini sembra svanito nel nulla, le camice nere prendono il potere, la Chiesa impone la censura sui numeri.
Una storia quasi impossibile da raccontare senza risultare pesanti. E forse la cosa che mi è piaciuta di più è proprio questa, l’incredibile sensazione di trasporto nella lettura nonostante l’argomento complesso e una trama non propriamente ricca di azione e colpi di scena.
Tutto scorre in maniera pacata e lenta, come le giornate della campagna Fiorentina, come il tempo osservato da lontano. Firenze e i suoi dintorni, sono peraltro uno dei protagonisti di questo libro, che mastica toscanità e digerisce storia.
Come detto faccio molta fatica a tirare le somme riguardo a un libro che mi ha profondamente colpito, soprattutto nella sua esposizione. La mia personalissima percezione è che sono rimasto più affascinato dal “modo” in cui è scritto, che non dalla storia in sè, e sono tutt’ora convinto che se togliessi dalla variabile l’elemento “Viscusi”, il risultato finale non sarebbe all’altezza. Come dire, un bravo autore riesce a tirare fuori il meglio anche da storie complicate e forse non propriamente avvincenti. Posto che non sia avvincente anche solo l’idea di immaginare un mondo senza matematica, dove chi usa i numeri venga colpito dall’inquisizione e dove le camice nere sono i detentori della legge.
Di fatto dietro tutto questo, si potrebbe parlare anche solo di una bella e grande storia d’amore, di libertà, di sacrificio, di crescita personale, di nostalgia e di speranza. E non nego che questo aspetto sia quello che mi è piaciuto di più nel romanzo, quasi che in fondo, ci sia effettivamente qualcosa di più profondo rispetto ai numeri.
I sentimenti alla fine, risultano più reali della matematica. E su questo, nemmeno Godel potrà farci nulla.