Salve popolo distopico!
Oggi parliamo di un’isola dietro l’angolo, vi va?
Non si tratta infatti di un distopico, anche se, volendo, elementi del nostro genere preferito potremmo anche trovarli. “L’isola di Ortega” (Oakmond Publishing) si avvicina molto di più al fantasy, ma non stiamo qui ad etichettare troppo. Via di copia e incolla della presentazione:
TRAMA:
Quando tutto sembra perduto l’umanità trova soluzioni alternative e straordinarie
Tutto ciò che rimane del pianeta Terra è l’isola di Ortega sulla quale vi sono soltanto due luoghi: Casa e Bosco. L’umanità è molto cambiata, per sopravvivere si è mescolata ad altre razze e qualcuno di questi nuovi esseri ha acquisito poteri particolari come, per esempio, è accaduto alle dodici soldatesse che abitano nella Casa insieme alle donne. Le soldatesse non hanno nome, vengono identificate con un numero, imparano a usare i propri poteri grazie all’aiuto di una maga feroce, sono duramente allenate alla battaglia da un centauro e non conoscono pietà o tenerezza poiché esistono solo per proteggere le donne dal popolo dei Lupi che abita il Bosco. Quando però la soldatessa Cinque viene catturata capisce che esistono luoghi magici che non si trovano all’esterno ma dentro l’anima e, percorrendoli, scoprirà una forza selvaggia e primitiva in grado di sbloccare porte che conducono ad altre dimensioni, a un’altra vita e, forse, perfino alla salvezza.
RECENSIONE:
Okay, forse la presentazione non rende del tutto l’idea del libro, ma quale presentazione lo fa?
La storia si apre appunto con Cinque, una delle dodici soldatesse. Come potere Cinque ha il terzo occhio, che consiste nell’allontanarsi per un po’ dal suo corpo per vedere particolari invisibili alla semplice vista. Attraverso questa ragazza di tredici anni conosciamo Casa, il posto dove le Donne vivono insieme alle altre soldatesse, insieme a Centauro e insieme alle Fertili, queste ultime legate e private degli occhi.
Conosciamo per esempio Sei, l’amica di Cinque, che come potere ha un terzo braccio allungabile nel petto. Conosciamo Centauro che allena le soldatesse in maniera quasi spietata.
Poi il punto di vista cambia quando Cinque viene catturata dai Lupi e così conosciamo Zero, il capobranco dei Lupi.
Zero, che fino a qualche capitolo prima era considerato un antagonista, ci presta gli occhi e vediamo la storia attraverso i suoi pensieri.
Lo stesso succederà anche con altri personaggi, che non starò qui ad elencare. Questo ping pong da un punto di vista all’altro ci apre maggiormente sul mondo creato dalla Perfetti, un mondo dove la battaglia non ha mai fine, dove la guerra è quasi perenne, dove il conflitto è naturale. E nonostante questo, c’è ancora spazio per la speranza e per l’amore.
Okay, non è esattamente il mio genere preferito, ma devo ammettere che questo libro mi è piaciuto, anche se, per certi versi, sfocia in una storia d’amore, come accennato sopra. Merito soprattutto dei personaggi, ben disegnati, ognuno con il suo destino, perché anche di questo si parla.
Di solito sono restio a giudicare positivamente una storia che ha una base simile, ma in questo caso farò un’eccezione. Non mi soffermerò sul messaggio, che magari è troppo in vista e poco nascosto, ma sullo stile. Scorrevole dove serve, lento dove il lettore ha bisogno di pausa. I diversi punti di vista in prima persona sicuramente aiutano alla lettura.
Alcuni capitoli sono volutamente presi da altre storie, come Mare e soprattutto come Bosco. Quest’ultimo è una copia parafrasata della famosa fiaba dei Fratelli Grimm, Hansel e Gretel. Un punto a sfavore per il romanzo, a mio avviso, in quanto il capitolo in questione non è indispensabile per la storia in sé. Ma ognuno ha le sue preferenze, qualche lettore sicuramente apprezzerà l’analogia.
Il finale è un colpo di scena, un qualcosa di così inaspettato che per un attimo mi sono chiesto se non avessi ripreso a leggere il libro sbagliato. Da quando subentra Fenice con il suo punto di vista, moltissimi puntini vengono uniti e si inizia a intravedere lo schema verso il quale l’autrice voleva portarci. Molto apprezzato.
Magari mi sarebbe piaciuto avere Fenice sin dall’inizio del libro: due linee narrative totalmente diverse tra loro che potevano far suscitare nel lettore domande interessanti. Una piccola vittoria mancata, se mi passate il termine.
Anche così però il libro è riuscito a tenermi sulle spine.
Solo finite le ultime pagine ho capito la copertina e credo che sia una piccola genialata.
Quindi, ricapitolando, qualche piccolo punto nero all’interno del romanzo, ma nel complessivo una bella storia, soprattutto per gli amanti del genere. Il mio voto, per quel che vale, è positivo.
Alex Coman