Come tutti gli amanti della Fantascienza, non vedo l’ora di poterne discutere insieme ad altri appassionati e perdermi nei meandri di ogni suo aspetto. Ecco allora che da questa esigenza nascono le mie “Fanta-Interviste”, che altro non sono che una lunga e bella chiacchierata in compagnia di un autore del nostro amato genere, che ci porterà in giro per gli argomenti più “caldi” della fantascienza di oggi, prendendo a volte come spunto proprio qualche lavoro personale (ma non solo).
Fate quindi conto di essere virtualmente seduti insieme a noi, Matt Briar e me, in questo pub globale che è la rete. Pronti ad ascoltare quattro chiacchiere in compagnia e, volendo, intervenire sul nostro gruppo di “Fantascienza Oggi” che proprio ad ampliare il tavolo di queste discussioni ha il suo obiettivo primario.
Per chi non lo conoscesse, Matt Briar è un giovane e molto interessante autore che proprio lo scorso anno è arrivato in finale in due tra i principali premi di narrativa scifi italiani, il Premio Odissea e il Premio Urania, con il suo “Terre Rare” edito da Watson. Quest’anno invece è uscito da poco il suo racconto “Open museum” per conto della Delos Digital.
Ma come sempre, nella mia intervista ho voluto parlare di ben altro.
Sfatiamo la regola per cui in una intervista, si comincia parlando dell’autore con l’autore. Del resto oggi troviamo quasi tutto quanto hai fatto fino ad ora in rete o sul tuo sito personale. Parliamo invece della cosa che riguarda tutti noi, la Fantascienza. Tra i molti che pensano che non c’è più niente di altrettanto valido oggi rispetto all’età dell’oro, e altri che invece sono convinti che mai come adesso ci siano diversi scritti di qualità assoluta. Che momento è per la Fantascienza Oggi secondo te?
La fantascienza si è sempre nutrita dei grandi temi del presente, le conquiste e le contraddizioni tecnologiche, sociali, morali, politiche. Ogni epoca ha la sua fantascienza e quella di oggi non è meno valida. Anzi, gode di un vantaggio incredibile sulle epoche precedenti: semplicemente il fatto che viviamo in un mondo che ci offre tutto e il contrario di tutto, in qualunque termine, e che non c’è mai stato un momento simile nella storia dell’uomo. Il progresso va sempre avanti e la fantascienza potenzialmente può rinnovarsi all’infinito, almeno finché vi sarà una civiltà. Dunque oggi troviamo le frange della fantascienza più avanguardiste, che guardano già oltre il confine, come il transumanesimo e il datismo (la “religione” dei dati); troviamo quella che riflette più sull’attualità (social, biopolitica, distopie…); troviamo il sempreverde “zoccolo duro” della fantascienza classica, ancora legata allo spazio esterno ma non certo nel modo ottimistico tipico dell’età dell’oro. Poi ci sono naturalmente opere ibride, forse le migliori proprio perché meno inquadrabili.
Ciò che voglio dire è che la fantascienza ha tutti i mezzi cognitivi e artistici per fiorire come mai prima d’ora. Ricorderò ancora il caso della Cina, dove la fantascienza è dibattuta all’università e riceve sovvenzioni dal governo in quanto genere audace in grado di contribuire tangibilmente al progresso. Si finisce sempre per citare questo caso perché di fatto è la prima volta nella storia, da quel che so, che accade una cosa del genere, e non poteva accadere se non in un presente tecnologico come il nostro. Dall’altra parte, tuttavia, dobbiamo anche considerare il “lato oscuro” della fantascienza, il suo fardello. Nella mia opinione (e sottolineo, è solo la mia opinione) la fantascienza è, ed è sempre stata, un genere letterario che impone al lettore di accendere il cervello. Voglio dire, accenderlo più della media dei libri in circolazione. Ti sfido a trovare un romanzo di fantascienza, anche il più superficiale nelle premesse, che sia completamente vuoto. Non è facile, proprio in forza di quello che dicevo prima: se scrivi fantascienza, e se la leggi, affronti dei temi rilevanti, spesso difficili o controversi. Anche se li sfiori appena, stai facendo comunque molto più della media dei libri in circolazione. Questo, ovviamente, intimidisce il lettore occasionale, già spaventato dagli spauracchi derivati da decenni di cinema-spazzatura di fantascienza (alieni cattivi, catastrofi planetarie).
Considerando che la gente vuole pensare sempre meno in tutto ciò che fa (a che serve imparare a usare una macchina fotografica se ci sono app che ti fanno sembrare bravo quanto un fotografo professionista? tanto per fare un esempio generale); considerando che la gente ritiene che pensare sia faticoso e noioso; considerato qual è la percentuale di lettori nel totale della popolazione di un paese come il nostro; considerando che dobbiamo assottigliare ulteriormente quella fetta se andiamo alla ricerca di lettori che apprezzano almeno un po’ la fantascienza; considerando che dobbiamo spiluccare le bricioline rimaste nel piatto se andiamo a cercare i lettori disposti a leggere la fantascienza contemporanea, nuova, magari locale (per esempio italiana, ma non solo), cioè quella in grado di portare appunto a un rinnovamento generazionale… Considerando tutto ciò, credo che la fantascienza è e resterà sempre una letteratura di nicchia.
La nicchia può crescere, può rifiorire quanti- e qualitativamente (come sembra stia avvenendo nell’ambito italiano), ma non sarà mai un genere best-seller, perché l’unico lettore in grado di trasformare un genere, un autore o un singolo libro in un best-seller è proprio quello occasionale, che numericamente vince. E’ paradossale, dato che l’interesse potenziale nel grande pubblico c’è, come dimostrano i successi di recenti serie tv come Black Mirror, Westworld, The Handmaid’s Tale e The Man In The Night Castle. Se ci sono tante persone che le apprezzano – mi chiedo – perché non ce ne sono altrettante che si fanno una cultura di fantascienza? Semplice, leggere un libro è molto più faticoso, complesso e noioso che guardare la tv. C’è da fare i conti con questo, su piccola e larga scala.
Forse nessun genere come la fantascienza, riesce a descrivere al meglio non solo le possibilità del futuro, ma anche ciò succede nel presente e tutti i suoi sviluppi. Raccogliendo temi e argomenti estremamente attuali. In “Terre Rare” per esempio, e forte il messaggio anche sociale che ne viene fuori. per una volta anche in chiave abbastanza positiva. Ecco, quanto è importante quel messaggio per chi scrive fantascienza? E’ essenziale avere “qualcosa da dire” o si può anche semplicemente “intrattenere”? (o una combo delle due).
Ti rispondo con una riflessione che tempo fa ho postato sul mio sito. Nei miei anni da lettore di tanti generi diversi ho identificato 3 modalità di “essere scrittore”.
- Modalità 1: “lo strumento di registrazione”, come si definiva William Burroughs, il più folle degli autori Beat che qualcosa ha lasciato in eredità anche alla fantascienza. Gli strumenti di registrazione, più che scrivere delle storia, trascrivono le proprie esperienze, rimaneggiandole magari in qualche particolare chiave, con un approccio spontaneo che vuole rappresentare la complessità, la frammentarietà e la casualità delle ossessioni, dei pensieri e della vita tutta.
- Modalità 2: il romanziere e/o best-sellerista. La categoria di Stephen King e Murakami, che mettono in primo piano l’amore per la storia, scritta come da manuale, per i suoi protagonisti e per il lettore, che deve chiudere il romanzo con una sensazione di appagamento analoga al pranzo di Natale. Non può quindi partire con un bagaglio ingombrante di messaggi o contenuti critici; il messaggio trasparirà in modo sfumato dal resto e servirà solo come condimento.
- Modalità 3 (intermedia alle altre due): lo scienziato. Lui ha una tesi da sostenere, alcune cavie da osservare, perciò inventa un esperimento. Mette i personaggi in un labirinto pieno di svolte, ostacoli e piaceri, che costituisce la storia, e attraverso essa veicola efficacemente i contenuti che intende comunicare. A questo scopo cura anche lo stile e la struttura dell’insieme, ma sarà più freddo del romanziere di modalità 2, non altrettanto perfetto. Bene, a quest’ultima categoria ascrivo tutti gli scrittori di fantascienza che conosco, almeno andando a memoria, che con il “pretesto” di un romanzo affrontano i grandi temi di cui dicevo nella prima domanda. Come esempi eclatanti penso a James G. Ballard e Philip K. Dick, ma anche a post-modernisti come DeLillo, che certamente non si ricordano per la “bellezza estetica” dei loro romanzi ma per i loro contenuti e le idee trasmesse. Le problematiche affrontate in prima persona dai personaggi dei loro libri sono le stesse vissute dagli autori, quantomeno nella loro mente, spesso come vere e proprie ossessioni.
Per quanto riguarda me stesso, sono senza dubbio incline alla terza categoria. Terre Rare per esempio è nato partendo da due contenuti, sui quali ho creato una storia e dei personaggi. Uno era il dilemma morale del protagonista: scegliere di pensare a se stesso o al bene comune? L’altro era quella di indagare cosa potesse andar storto in un mondo dove si ha avuto una rivoluzione positiva, utopistica. Anche nelle condizioni più idilliache troveremmo il modo di farci del male, di prevaricarci l’un l’altro, motivati dai soliti vecchi interessi. Ora come ora mi sto sforzando di approcciare la scrittura nella seconda modalità, che richiede più abilità narrativa, per tentare di trovare il miglior compromesso tra le due. La vivo come una sfida.
Sei un autore giovane, ma che a conti fatti bazzica in ambito letterario e fantascientifico già da un po’. Abbastanza per aver toccato con mano il fandom, il mondo editoriale di settore e anche per aver avuto diverse segnalazioni ai premi più importanti del genere. Come hai scelto di muoverti in questo ambiente? Quali difficoltà hai trovato da scrittore e quali invece sono le caratteristiche più positive (se ce ne sono) del promuoversi in questo ambiente?
In realtà sono relativamente una new entry nell’ambiente, ma lo conoscevo più o meno come lettore da molto tempo. Ho iniziato a bazzicare gli eventi del settore solo dopo molti anni, quando si è presentata l’occasione giusta al momento giusto, con le prime pubblicazioni. Ho esordito con un romanzo sperimentale (L’era della dissonanza, vincitore del premio Kipple) che senza dubbio, rileggendolo oggi, soffre un po’ dell’inesperienza degli inizi. Dopodiché ho prodotto altre cose, edite e inedite, brevi o lunghe, fino ad arrivare a Terre Rare uscito nel 2019 (per Watson) dopo essersi classificato finalista a Urania. Partecipare a questi concorsi e pubblicare con editori del settore mi ha stimolato a frequentare e conoscere sempre di più la nicchia, anche se credo che ci sia ancora tanto da scoprire, soprattutto tante altre ottime e interessanti persone con cui dialogare.
In generale, la cosa che mi ha sorpreso maggiormente è stato il fatto di trovare un ambiente dove il confronto vince sulla rivalità. Mi spiego meglio: c’è un sottobosco di editori e autori molto variegato, per cui ognuno ha certe idee e preferenze sulla fantascienza, che storicamente ha sempre avuto varie declinazioni. Perciò ciascuno tende a ricercare e valorizzare un certo filone della fantascienza creando un ecosistema naturale per gli autori e i romanzi che ne fanno parte. Se leggi o scrivi fantascienza spaziale, puoi rivolgerti preferibilmente da una certa parte; se vuoi la fantascienza sociale o tecnologica, quella surreale o quella più inclassificabile e contaminata, andrai da altre parti e le troverai. Sono solo esempi per dire che c’è un bel clima nella nicchia sci-fi italiana, c’è unità, ogni visione trova il suo spazio per essere condivisa e il tutto assume ancor più valore grazie alla somma delle parti. Poi ho conosciuto persone semplicemente fantastiche, a livello umano oltre che fantascientifico, con cui è un piacere (se non una necessità fisiologica) condividere la bellezza e le difficoltà dello scrivere. Questo è il grande pregio della nicchia, che fa da contraltare alle difficoltà “di mercato” di cui parlavamo nella prima domanda.
Tra i tuoi scritti possiamo annoverare tipologie molto diverse: dai racconti al romanzo, passando anche per il saggio. Parlami un po’ del tuo rapporto con queste tre forme e quale secondo te è quella più congeniale (a te in primis, ma anche per il genere fantascientifico).
Ho sempre amato entrambi, ma forse un po’ di più i romanzi per il loro respiro più ampio, e lo intendo sia come lettore che come scrittore. All’inizio, quando si tenta di trovare la propria strada sperimentando tra forme, generi e stili, il racconto è qualcosa di molto più accessibile. Anche perché si inizia sempre scrivendo a sentimento, senza un canovaccio, sentendosi molto artisti… Ci passano tutti! Ci ho messo molto ad arrivare al romanzo… Almeno, molto secondo il mio metro di giudizio (e io non sono mai contento). Il mio primo romanzo, L’era della dissonanza, è in realtà la fusione di una serie di racconti. Ho fatto un paio di tentativi di romanzi, che tengo chiusi nel cassetto, prima di arrivare a Terre Rare. Su quello ho lavorato molto (troppo! non è vero, non è mai troppo…) proprio per curarne al meglio la forma. Con Terre Rare ho fatto il mio primo lavoro “serio” di pianificazione, che ha funzionato ma solo in parte. Avrei dovuto farne di più per evitare di lavorare così tanto di revisioni. Più vado avanti (ho scritto altre due storie lunghe dopo Terre Rare) più mi accorgo di quanto sia fondamentale la parte tecnica, prima e dopo la stesura. Non toglie nulla all’ispirazione… pensarlo è molto naif.
Ora sto cercando di migliorare dove so di essere debole. Si impara sempre dai propri sbagli, il problema è che intanto il tempo passa, i romanzi richiedono anni dalla prima stesura alla pubblicazione, e quando li hai in mano ti accorgi di essere già mentalmente molto oltre. Di racconti ne ho scritti pochi, fino a ora, ma qualcosa nel cassetto ce l’ho, e anche in mente per il prossimo futuro. Il racconto è l’ideale quando hai un’idea concisa e magari poco tempo per scriverla. Si può dire che tutto il genere fantastico, dalla fantascienza al weird, sia nato sui racconti e il romanzo sia stato la sua naturale evoluzione. Sono entrambe forme ottimali per la fantascienza. Non credo esista qualcosa di meglio sulla Terra dei tre volumi Tutti i racconti di J.G. Ballard, a parte forse la pizza. A parte questo, ho avuto modo di collaborare a un progetto su Stephen King con un saggio breve, e regolarmente scrivo recensioni e approfondimenti sul web (soprattutto per il mio sito e per Tom’s Hardware). Quindi anche con queste due forme di scrittura non creativa mi sento a mio agio.
E’ poco più di un racconto (una quarantina di pagine se non sbaglio) è anche la tua ultima pubblicazione per Delos, “Open Museum”, che anche in questo caso sembra molto di più una riflessione sul presente che non qualcosa di totalmente “fantastico”.
Sì, Open Museum è un racconto di 44 pagine classificabile come fantascienza sociale e distopica. Si ambienta in una Milano del prossimo futuro (o, come si dice, futuribile), piuttosto orwelliana o dickiana in molti suoi aspetti. Ci sono impianti di brain-marketing che ti fanno sognare spot commerciali, impianti di riciclaggio piuttosto schizzinosi che te la fanno pagare cara se distrattamente butti dentro qualcosa di sbagliato, caste sociali molto selettive che ti permettono o meno l’accesso a mezzi pubblici, cure sanitarie, un’istruzione decente, eccetera, e sopra tutto un reality show di grande successo, ma molto sinistro, dove chi partecipa è destinato a restare famoso per l’eternità… solo in un modo molto più letterale che metaforico.
Gli spunti sono tanti, condensati in poche pagine, mi sono proprio divertito. Il racconto è nato dall’immagine di questa giovane mamma, Greta, con questa figlioletta sveglia e simpatica al suo fianco, Bea, per la quale farebbe tutto. La sua volontà e la sua forza sono al centro della storia. Parlo della forza di cambiare le cose, traendo il meglio anche dagli eventi più spiacevoli e umilianti, sporcandosi le mani se necessario, facendo girare a suo favore gli ingranaggi marci che regolano la società, quegli stessi ingranaggi che l’hanno messa ai margini. Il tutto per potersi assicurare una chance di sopravvivenza, una briciola di futuro per la figlia.
Sono sempre molto affascinato invece, da come gli autori di fantascienza affrontino il lato più comunicativo del loro lavoro. Certo siamo lontani anni luce dall’idea di scrittore solitario che pensa ai propri lavori dimenticando il resto. Anzi, ormai è quasi scontato che ogni autore si prenda carico di buona parte del peso anche divulgativo della propria opera. Come vivi la parte più commerciale della “post-pubblicazione” e in effetti cosa ne pensi di questa quasi costrizione odierna al dover conciliare il ruolo di creativo a quello di venditore?
E’ come dici tu: scrivere è solo una parte, certamente la più bella, ma non per forza la più decisiva, almeno se vuoi far sì che il tuo libro esca dal tuo studio e si metta in strada verso la libreria di qualcun altro. Non lo fai per vendere, è ovvio: parliamo di un mercato molto piccolo, non sono i soldi il movente. Lo fai per avere riscontri, per condividere messaggi, sperando di accendere una riflessione anche solo per qualche minuto nel cervello di chi legge. E’ l’unica ragione che giustifica tutta la fatica, almeno se sei uno scrittore di modalità 3!
Quindi sì, devi essere sui social, devi partecipare a eventi, devi organizzare presentazioni e cercare di proporti in tutte le maniere, anche mettendoci qualcosa di tasca tua. Eventi e presentazioni sono molto piacevoli, anche se bisogna esserci portati. Io sono un pessimo commerciale e non sarò mai soddisfatto di come gestisco queste cose, invidio chi riesce davvero a farle bene.
Ci sono compromessi a cui non ho più intenzione di scendere, per esempio il firma-copie, cioè autovendersi dietro un banchetto come un piazzista. No grazie. Verso i social nutro un amore-odio. Sono utilissimi, senza alcun dubbio, e ti offrono opportunità interessanti, ma io non riesco a starci molto, semplicemente perché più ne fai, più ne faresti. Non c’è un limite o per lo meno è difficile vederlo, e questo mi spaventa. Naturalmente mi affascina osservare il comportamento della gente in relazione ai social, e spesso mi trovo a leggere articoli su questo. I social sono una contraddizione per definizione, ecco perché la fantascienza di oggi se ne occupa. Sto scrivendo anche qualcosa sul tema, vedremo cosa ne esce. Se potessi scegliere, comunque, farei lo scrittore solitario e avvolto nel mistero, ho anche una soffitta fantastica a casa che mi permetterebbe di calarmi nella parte. LOL.
E siccome siamo di mentalità fantascientifica, parliamo del futuro. Del tuo intanto. Visto che ormai non ti si può più definire uno scrittore esordiente, e sulla definizione di “emergente” c’è chi ci vive una vita. Come ti definiresti tu e comunque cosa ti aspetti realmente dalla tua vita di scrittore nel prossimo futuro?
Esordiente, emergente… sono solo etichette. Qual è il contrario di emergente? Arrivato? La semplice verità è che non si è mai arrivati, c’è sempre altra strada davanti se la si vuole percorrere, o almeno ci si vuole provare. Nel mio caso ogni volta che scrivo qualcosa di nuovo sento di aver imparato dagli errori commessi la volta prima. Naturalmente ne commetterò altri, e così via, senza fine. E non è solo nello scrivere, è anche nel proporsi agli editori e nel promuoversi sui social. Al momento scrivere è una necessità, se volessi impedirmi di farlo dovrei sforzarmi. Finché esiste un numero anche minimo di persone che apprezza ciò che scrivo, sarà naturale seguire questo percorso. Non credo ci sia una meta precisa da raggiungere, semplicemente si prosegue sulla strada finché se ne ha voglia. Se nel frattempo ci scappa qualche premio o riconoscimento, ben venga, se no sereno come prima.
Raccontaci una cosa sul tuo rapporto sulla fantascienza che hai sempre voluto dire ma che nessuno ancora ti ha chiesto.
Mmm… non saprei. Forse che ho provato solo una volta a scrivere un testo con ambientazione spaziale ed era davvero pessimo. Non vedrà mai la luce. Con questa domanda mi hai garantito un po’ di nuovi haters. LOL
Ringrazio davvero tantissimo Matt, che mi ha dedicato un bella fetta del suo tempo per rispondere in maniera fantastica a tutte le mie domande (offrendo peraltro spunti molto interessanti da approfondire). E grazie anche a tutti voi che siete arrivati fino a queste ultime righe, facendoci compagnia in questa chiacchierata.