TRAMA:
Secondo dopoguerra. Bruno ha tredici anni e vive in un orfanotrofio vicino a Salerno, sottoposto alle continue angherie degli altri ragazzi. Solo l’amicizia con Nino, il nuovo arrivato che prende a difenderlo, riesce a rendere tollerabile la sua permanenza nell’istituto. L’estate porta con sé un momento di libertà per tutti i ragazzi: Bruno e Nino saranno scelti per andare a lavorare insieme nella tenuta degli Aloia, una ricca famiglia del circondario. È qui che Bruno conosce Caterina, una strana bambina che vive all’ultimo piano della casa e che lo guida a esplorare i recessi dell’imponente edificio. Il gioco assume però ben presto contorni sinistri: Bruno inizia a essere tormentato da incubi inspiegabili, che al risveglio lo lasciano profondamente spossato. Il ritrovamento, all’interno della proprietà degli Aloia, di alcuni cadaveri in avanzato stato di decomposizione, getta sulla villa e su chi la abita ombre inquietanti. A chi appartengono quei corpi? E perché tutti sembrano a conoscenza di qualcosa che non deve essere rivelato? Questo romanzo è la storia di un’amicizia, di ricordi spezzati e di un brutale assassino che si nutre di paure. È la storia di Bruno e dell’estate in cui divenne l’uomo senza sonno.
RECENSIONE:
Paura.
Callum non riusciva a smettere di tremare per la paura. Chiuse il libro e si inginocchiò al chiarore delle candele. Le ombre si arrampicavano sulle pietre della sala come ragni, sugli scaffali della biblioteca che aveva costruito con le sue stesse mani.
«Pater Noster, qui es in caelis…», mormorò. Le lacrime che gli bagnavano la barba. «Sanctificetur nomen tuum, adveniat regnum tuum…».
La porta si spalancò in un lamento di cardini arrugginiti interrompendo la sua preghiera. Rumore di passi veloci, un respiro affannato.
«Fratello!», gridò una voce corrosa dal catarro.
Suddiviso in sei macro blocchi narrativi, il mio preferito è il terzo: “Coloro che non dormono mai”, “L’uomo senza sonno” è un thriller di formazione in cui i giovani protagonisti vengono trascinati a forza verso l’età adulta.
Bruno è un bambino timido, fragile, che tenta di superare indenne le giornate sfuggendo da Onofrio e dalla sua cricca di bulli. Abbandonato dalla madre ancora neonato, è cresciuto senza l’amore di una famiglia o il calore di un abbraccio sincero. Bruno conosce solo le fredde mura dell’orfanotrofio e le botte, quelle degli altri ragazzi e quelle che riceve da Padre Mario o dalle suore “a scopo educativo”. Non sorride, quasi non sa cosa significhi farlo.
La sua vita cambia il giorno in cui arriva Nino, un ragazzino animato da una forza interiore contagiosa che ben presto diventa il suo migliore amico. Inseparabili e capaci di supportarsi in ogni situazione, quando arriva l’estate, i due ragazzi vengono mandati a lavorare come garzoni tuttofare presso la tenuta del Signor Aloia.
Un compito obbligato ma che potranno svolgere assieme, un’assegnazione che sembra meno peggiore di tante altre… ben presto i due ragazzi scopriranno orrori ben peggiori delle angherie dei bulli.
Antonio Lanzetta dettaglia molto bene una storia a cavallo tra l’avventura e il thriller. Con grande maestria, e ve lo dice uno che non ama thriller e similari, tiene alta la tensione narrativa per buona parte del libro. Ogni dettaglio è curato, i descrittivi riescono a essere avvolgenti senza essere troppo invasivi e la trama si mantiene “attiva” per la maggior parte del tempo.
I dialoghi sono brevi, a tratti telegrafici, ogni parola sembra essere stata soppesata con cura dall’autore. Non che mi dispiaccia, meglio così che i monologhi di mezza pagina atti a spiegare ciò che deve essere mostrato.
I personaggi crescono, imparano e mutano nel corso della storia. L’amicizia li sostiene, imparano che la paura ti tiene in vita e creano un legame con il lettore, che diventa di fatto il membro aggiuntivo della banda.
L’ambientazione è ricca di dettagli, di ombre e di metafore, che creano un’immaginario gotico, quasi londinese, tra le realtà rurali del Cilento. Poco spazio viene lasciato all’immaginazione e solo la tensione emotiva è libera di muoversi tra i paragrafi.
Bruno uscì attraverso l’accesso destinato alla servitù, una vecchia porta a vetri con la maniglia arrugginita che dava sul cortile. Lampade di ceramica appese nel portico bagnavano il selciato con una luce arancione, e nell’oscurità, oltre il profilo nero degli alberi, si poteva scorgere la figura imponente della montagna con la sua faccia da diavolo. Bruno li sentiva puntati su di sé, quegli occhi di pietra, crateri bui in una notte senza stelle.
In conclusione posso dire che mi è piaciuto. Non è un horror, per mia fortuna visto che poi faccio brutti sogni, e nemmeno un romanzo adolescenziale. Potrei dire che è un thriller con dei giovani adulti, o un inquietante romanzo di formazione e amicizia.
“L’uomo senza sonno” è un libro che coinvolge, che appassiona senza eccedere nel macabro o nel trash.
Ah, ho ancora un pensiero per voi.
Sono anni che sento dire che Antonio Lanzetta è lo Stephen King italiano. Permettetemi di dirvi due cose:
1- i paragoni sono lesivi e, per quanto fatti in buona fede, non sempre fanno piacere. Antonio Lanzetta è Antonio Lanzetta, punto.
2 – Se dite a uno come me che è come King cadete male. King a me non piace, fosse per me non sarebbe lo scrittore che è, Lanzetta invece mi è piaciuto.
A presto.
Delos