Recensione “Ventuno” di Guillem López

Giunge in Italia per Eris Edizioni e con traduzione a cura di Francesca Bianchi, “Ventuno” di Guillem López.
Il titolo prende il nome dal personaggio principale che riveste anche il ruolo di voce narrante, appunto, Ventuno: un ragazzo nel pieno della pubertà.

TRAMA

Ventuno vive nel pozzo, un abisso di gallerie e tunnel dove l’unica luce possibile è quella delle lanterne. Qualcuno gli ha raccontato che, tempo fa, gli uomini e le donne della superficie iniziarono a scavare e arrivarono talmente in profondità da oltrepassare l’inferno. Nessuno sa perché lo fecero. La cosa importante è che è così che è nato il pozzo e che questo è il lavoro di tutti: scavare senza sosta nuove cave e cunicoli, e scambiare un po’ alla volta parti del proprio corpo con innesti meccanici per poter scavare meglio e sempre di più. Per chi come Ventuno non è ancora adulto ma non è più bambino restano poche speranze. Il destino è segnato. La miniera lo aspetta. E se volesse una vita diversa? È davvero possibile nel pozzo immaginare qualcosa di diverso? E se ci fosse il modo per non finire a scavare, quale sarebbe il prezzo?

RECENSIONE

La trama, a grandi linee, può essere riassunta così: egli tenta una scalata sociale, cerca indipendenza e soldi facili, è ben consapevole che il suo sarà un percorso solitario realizzabile solo manipolando chi gli sta attorno. Non ci pensa due volte all’intessere una stretta maglia di bugie che andrà a rappresentare quella miccia in grado di far divampare un delirante moto di megalomania che lo travolgerà in pieno come una valanga; palese esempio di come, talvolta, dietro all’apparenza più irreprensibile possa celarsi un’indole ambigua.
Ma vi assicuro che c’è MOLTO molto di più.

La gente come me perde sempre qualcuno per strada. C’è molta solitudine in questo viaggio.

La vicenda si svolge nel Pozzo, luogo inviolabile e solenne come un mausoleo, nelle più buie profondità del sottosuolo caratterizzate da spazi angusti, o forse è meglio definirli loculi dismessi, dove fervono attività inquietanti e vige il violento codice del predominio del più forte.
Questa comunità sotterranea è condannata a scavare e i loro corpi per scelta – propria, della religione o della legge – vengono modificati aggiungendo o sostituendo parti umane con innesti meccanici al fine di portare a termine questo compito e spingersi ancora di più nelle viscere maleodoranti e oscure del posto. Gli occhi di Ventuno – e di conseguenza i nostri – si posano su veri derelitti, che si muovono per inerzia o per lo schiocco delle frustate. La libertà è un miraggio a cui solo pochi eletti possono aspirare, la maggior parte è condannata al supplizio che sfocia nella schiavitù o all’essere continuamente vessati o fustigati o violentati, c’è anche chi si vede costretto a chiedere l’elemosina pur di mettere qualcosa sotto ai denti ma spesso ciò che riceve è una scarica di pugni. Tuttavia questa brutalità sembra quasi anestetizzata, la gente del Pozzo prova una sorta di rassegnazione tanto a subirla quanto a vederla manifestarsi sugli altri.
Tre sono i pilastri su cui si fonda questa società: lavoro di scavo, idolatria del Dio Meccanico, malavita; un microcosmo in cui si annidano tenacemente ghettizzazione e miseria e gli individui si trovano a un passo dal disfacimento che non guarda in faccia né uomini né donne né bambini.
Ci viene proposto anche un nuovo “linguaggio” già a partire dalla struttura della famiglia – attenzione non è un errore di ortografia – costituite solitamente da: unpadre, unamadre, unfratello (o unfratelli) e unasorella.

La miseria acceca quelli come noi, ci ruba l’altruismo, ci condanna all’invidia.

Contraddistinto da una narrativa ibrida che vede una combinazione di: distopia transumanista, romanzo di formazione, grottesco ed elementi weird; il tutto corredato da una prosa disadorna e priva di sbavature, quasi cinematografica. Ventuno è un romanzo a dir poco magnetico che ho divorato con vorace febbrilità, mi ha tenuta letteralmente incollata alle pagine fino a quando, giunta all’epilogo, sono scesa – ancora un po’ scossa in verità – da queste tenebrose montagne russe.
A impreziosire il libro vi sono alcune tavole in bianco e nero a opera dell’artista Sonny Partipilo, disegni dal tratto magnificamente grezzo, ma evocativo in grado di trasmettere quel primitivo senso del perturbante presente in modo intenso nel libro.
Guillem López, con questa sua fatica letteraria, ci dimostra quanto sia facilmente sottovalutabile il valore che oggi diamo all’accentramento di potere esercitato sugli altri imponendo al lettore, avventato o sagace che sia, la propria visione del mondo. Non troverete, infatti, nessun moralismo di fondo, anzi esso viene rimpiazzato da una massiccia dose di nichilismo stringente a tal punto da servirsene per mettere a nudo non solo ipocrisia e squallida corruzione, ma anche per esporre il lato introspettivo del libro.
L’autore si focalizza in maniera efficace sulle sfaccettature più nere della psiche umana che si avvicenderanno tutte pagina dopo pagina: crudeltà, disperazione, egoistico istinto di sopravvivenza, materialismo, incontrollata voglia di emergere prevaricando sull’altro seppur consumandosi e crogiolandosi dentro per la forte solitudine.

“Ventuno” è una storia raccontataci con fredda lucidità che non lascia alcuno spazio alla speranza.

Elisa R

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