Bentrovati distofanta readers! Oggi vi presento la mia recensione di questo romanzo. Si tratta di “Livello 49” di Alessandro Pedretta.
Il sottotitolo del romanzo, Ode alle necro fabbriche, coglie la natura duplice dell’opera: da una parte la distopia ultra-capitalista di una produzione continua e fine a sé stessa, da condurre a tutti i costi in una caricatura grottesca del fordismo esasperato, dall’altro l’aspetto necro, che nel romanzo è necrofago, necrofilo, necrologico.
Il personaggio fondamentale del romanzo, il suo protagonista, è la città, girone infernale e campo di coltura post nucleare in cui lo sfruttamento produttivo e la perversione sono paralleli, costanti, continui, insistiti fino allo snaturamento e alla caricatura: in senso estremo questo è positivo, essendo l’intento dell’autore proprio quello della costante esasperazione dell’orrido, dell’osceno, del disturbante. Si potrebbe parlare di un’estetica dell’osceno estremizzata e continua, insistita fino al superamento dei confini dell’umano. La macchina, sfruttatrice e complice, è prevaricante, l’ode alle fabbriche è basata sulla profanazione del corpo umano o meglio di ciò che ne resta.
TRAMA
Moloch2: città apocalittica, coagulo di vicoli postribolari abitati da assassini, puttane ricondizionate, cannibali, mutanti prodotti dalle esplosioni radioattive della Guerra delle Multinazionali, scannerizzatori dell’amigdala, Sacerdoti della Ghiandola Pineale. Loschi affari vertono sulla psico-pubblicità, sulle depravazioni indotte, su osceni spettacoli all’interno dei locali nei budelli della città, sugli appetiti malsani verso sempre nuove deformità. Arroccate sulle colline che circondano la città svettano cupe le Fabbriche: l’inferno produttivo H24 dell’oscura e perversa famiglia DeVeer. Nella produzione senza sosta di oggetti indecifrabili, tra burocrati enigmatici, atroci rituali di amputazione lungo catene di montaggio senza fine, la somministrazione di droghe per massimizzare ogni sforzo, ogni operaio è addestrato a seguire i propri compiti con devoto servilismo e ossessiva determinatezza. Sempre meglio che finire sbudellato o violentato nei QuartieriUno, gli Intestini Luccicanti. Il Livello49: ecco lo stadio che ogni operaio e neo-schiavo delle Industrie agogna a raggiungere. La tanto ambita Promozione che potrà renderlo indissolubilmente legato alla Fabbrica e ai DeVeer, per sempre.
RECENSIONE
L’impianto orwelliano, distopia seguita alla degenerazione di un sistema nato da gravi conflitti, è applicata a Moloch (nome già carico e stracarico di riferimenti biblici e secondariamente cinematografici), città distopica sorta sulle rovine di sé stessa in seguito a non meglio precisate guerre fra multinazionali. Veleni, radiazioni, mutazioni ne sono il corollario e ne configurano la spazialità rigidamente classista e di casta: famiglia ‘regnante’ che risiede in palazzi di perversione e dissoluzione, aristocrazia industriale, forza lavoro, rinnegati e subumani affetti da disgustose degenerazioni fisiche e psichiche.
Temi come l’infortunistica sul lavoro, sfruttamento, desensibilizzazione sono presenti, espansi fino all’esplosione, posti come caricature di problemi allucinanti che collegano la realtà di chi legge all’irrealtà straniante (e totalizzante) della vicenda che culmina, inevitabilmente in un sacrificio distruttore in grado di collegare brevemente lavoratori e padroni assoluti, vittime e carnefici, disumani e non umani.
Il tema post-umano, corpi potenziati o depotenziati, mutati, integrati, smembrati e cannibalizzati, costituisce il collante, l’atmosfera del luogo infernale, luogo e atmosfera in cui si muovono personaggi grandguignoleschi, paradossali, eppur profondamente umani nella disperazione della perdita dell’umanità e nella loro totale demenza.
Accostamenti e peculiarità
Leggendo questo romanzo mi è venuto in mente City di Santarossa, di cui Livello 49 può esser visto come l’estremizzazione concettuale e fattiva: nulla di derivativo, naturalmente, un accostamento personale di chi scrive, un invito, se mai, a leggere entrambi i libri.
La trama del romanzo è funzionale all’ambientazione: più una visita guidata nelle profondità del sordido e del disumano che una vicenda costruita attorno a personaggi: il risultato non delude se si è disposti ad abbracciare l’estetica del ripugnante, dell’osceno estremizzato. Questi due elementi sono d’altro lato consustanziali al tema profondo del romanzo, ovvero la perdita dell’umanità e la successiva (perché conseguente) discesa nel regno della perversione, con ampia – e a tratti non priva di compiacimento, almeno secondo me – casistica di personaggi e pratiche ripugnanti, abominevoli, estremi oltre l’estremo, a volte comici. Comico e scatologico spesso si sfiorano, così come il lubrico e il desiderio dell’abnorme, ben dosati, in questo romanzo, e ben controllati, ma onnipresenti.
Un volume di ottima fattura
La versione digitale del volume è pregevole, curatissima, nitida, corretta, si vede molto chiaramente la maestria di un editore che da anni offre al pubblico italiano e internazionale il meglio dell’horror estremo. L’editor del volume è Alessandro Manzetti, ipso facto garanzia di rigore, professionalità e qualità. Il potere visionario di Pedretta, il lavoro eccellente sul vocabolario, sul ritmo e sullo sviluppo della vicenda sono ottimi, a mio parere; il contenuto è, lo si è detto, per stomaci forti proprio perché l’autore fa molto bene ciò che fa: evocazione fotografica in movimento di una realtà da incubo. Complimenti e avanti così con la distopia, l’orrore, la narrativa italiana e gli autori che meritano di pubblicare.
Roberto Risso