Edito da Bao Publishing, in un inconsueto formato panoramico, The private eye è una delle opere meno note di Brian Vaughan. Un distopico societario che fa della privacy, o della caccia alla possibilità di violarla, il suo punto focale.
TRAMA
In una Los Angeles futuribile, dove la privacy dell’individuo è tornata di capitale importanza in seguito a una tragica fuga di dati planetaria, un paparazzo senza licenza indaga su un delitto inspiegabile. Brian K. Vaughan crea una storia dolorosamente attuale, ma in un contesto hard boiled, e Marcos Martin e Muntsa Vicente la illustrano con immaginifica maestria. Un volume cartonato, di grande formato, orizzontale, arricchito da un dietro le quinte ricco di dettagli inediti, The Private Eye è una riflessione acuta su ciò che facciamo quando crediamo che nessuno ci guardi, e sul prezzo altissimo di certi segreti.
RECENSIONE
Los Angeles, 2076. La popolazione vive l’assillante necessità di proteggere la propria intimità. Nei primi anni duemila un misterioso, e non ben definito, problema scarica tutte le informazioni custodite nei cloud delle persone sulla rete. In un istante la vita e la cronologia di ogni individuo viene condivisa, una tempesta mediatica che segnerà inevitabilmente il futuro. L’Alluvione, così viene chiamato quell’evento, porta le persone a sviluppare un’ossessione compulsiva per la propria privacy.
Costretti a convivere con le proprie menzogne e terrorizzati dalla possibilità di ricadere negli stessi errori, i cittadini del futuro indossano diverse maschere per proteggere la propria identità. Smartphone, computer e lo stesso internet non esistono più. Tutto ciò che era legato all’Alluvione è stato abbandonato. Ciò che è successo non deve riaccadere. I quaranta giorni in cui ogni individuo ha perso la proprio reputazione non devono più ripetersi.
Pensato per una lettura digitale, il formato del volume non è il più comodo per essere messo in libreria, ma ha il grande pregio di dare respiro alle tavole di Martin. La distopia si veste con i colori sgargianti di un Carnevale senza fine, in una città che ha abbandonato ogni forma di condivisione per permettere a tutti di vivere un’eterna finzione.
P.I. è un fotografo, un paparazzo che infrange la legge per impossessarsi dei segreti delle persone. Un anti eroe che si troverà costretto a indagare sull’omicidio di una delle sue clienti. Un protagonista che dovrà imparare a sue spese il vero potere delle informazioni.
The private eye mi ha convinto solo in parte. La trama è molto lineare e le tematiche affrontate sono abbastanza note. Ciò che mi ha colpito è l’utilizzo della “gioia” visiva per rappresentare la paura ossessiva della persone. Perché ingrigirsi se si può essere sgargianti? Perché non usare il terrore di mostrarsi come opportunità per essere ciò che vogliamo? L’ambientazione creata dall’idea di Vaughan e dalle matite di Martin è, almeno per me, la parte più interessante dell’opera.
Il resto vi lascio il piacere di scoprirlo leggendo la graphic novel.
A presto.
Delos