È facile dimenticare quanto è cambiato il mondo negli ultimi decenni, perché viviamo immersi nel presente. Ed è ancora più facile non pensare a quanto cambierà il mondo nei prossimi anni, perché spesso la trasformazione è imprevedibile, inarrestabile – e rischiosa. Alec Ross, consigliere dell’amministrazione Obama per l’Innovazione e docente alla Columbia University, ha lavorato per anni alla frontiera del cambiamento, viaggiando in tutto il mondo, dal Kenya delle start-up alla Corea del Sud dei fantascientifici laboratori di ricerca, per cogliere gli sviluppi tecnologici in tempo reale. Vero e proprio “futurologo”, Ross ha scritto questo libro con uno scopo ben preciso: raccontare a tutti il futuro che ci aspetta, per aiutarci a trovare il nostro posto nel nuovo mondo: “Vent’anni fa avrei voluto leggere un libro capace di prevedere la rivoluzione di internet. Oggi ho provato a scriverlo io: dal codice informatico al codice genetico”. Passando dalle analisi economiche più dettagliate al racconto appassionante di storie concrete dai quattro angoli del pianeta, Ross affronta tutti i temi più caldi dell’innovazione – dalla ricerca genetica alla cybersicurezza alla rivoluzione dei Big Data – evidenziando le sue ricadute sulle decisioni che ognuno di noi dovrà prendere nei prossimi vent’anni: cosa studiare (e cosa far studiare ai nostri figli)? Che lavoro scegliere? Come investire i nostri risparmi ?.
Alec Ross è stato consigliere per le questioni tecnologiche di Hillary Clinton, quindi la sua è una voce istituzionale non certo fuori dal coro.
Proprio per questo la lettura del futuro che ci propone nel saggio “Il nostro futuro” nella quale ci propone come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni, edito da Feltrinelli nella traduzione di Bruno Amato, appare interessante: è la prospettiva degli intellettuali statunitensi più avanzati e coerenti con il sistema di potere che caratterizza quel paese. Potremmo definirlo il punto di vista del capitalismo buono.
In primis lo scrittore collega strettamente innovazione tecnologica e globalizzazione, di cui evidentemente coglie solo gli aspetti migliori. Secondo Ross, la vecchia economia è destinata a scomparire travolta dall’incontenibile potenza della new economy, l’economia del digitale, della connessione, dei Big Data.
La robotizzazione è vista come un processo inarrestabile e fondamentalmente positivo in quanto destinato a sottrarre gli esseri umani dai lavori gravosi e ingrati ma anche a modificare la vita quotidiana dell’umanità futura: auto a guida autonoma, robotizzazione delle sale operatorie, degli sportelli bancari, delle biglietterie aeree e ferroviarie, delle agenzie di viaggio…
Ma il nostro futuro ci riserva anche grandi novità scientifiche, soprattutto nel campo della cura delle malattie, alle quali lo studio della genomica può dare un colpo formidabile.
La codicizzazione del denaro e dei mercati finanziarti. eBay (1995), PayPal (1999), l’economia peer-to-peer: Airbnb, Uber, Bla Bla Car ecc.: sono tutte innovazione che obbediscono alla “teoria economica del neoliberismo, che incoraggia il libero flusso di beni e servizi in un mercato che non ha regole a governarlo.”
Le grandi compagnie producono ricchezza solo per gli investitori (per esempio i grandi fondi pensione americani) ma produce ricchezza marginale per i singoli utilizzatori (gli autisti di Uber, i rider di Deliveroo).
Il proliferare di occupazioni temporanee senza previdenza crea soltanto un ulteriore dislivello tra classe lavoratrice e classe investitrice.
Emblematico è il fenomeno della codicizzazione e della conseguente diffusione dei reati informatici. Che a sua volta determina una vera e propria militarizzazione del codice e prepara una nuova guerra dei codici. Ancora più pericolosa nella prospettiva della futura internet-delle-cose: attrezzature, elettrodomestici, tecnologia da indossare, robotica, domotica, ecc. Il rischio sicurezza diventerà la principale preoccupazione: si passerà dalla cold war alla code war.
D’altra parte internet stravolge per sua natura l’idea di nazione sovrana e anche quella dei conflitti regionali, e spinge piuttosto verso una internazionalizzazione del cyber conflitto. Gli attori non statali della code war non sottostanno ad alcun accordo governativo, e quindi sono di fatto incontrollabili. “Lo spazio informatico rimarrà un Far West.”
Meno di una decina di stati hanno armamenti nucleari, ma le armi informatiche potrebbe averle qualsiasi paese.
La materia prima del futuro saranno proprio i DATI.
Nel 2000 il 25% dei dati era conservato in forma digitale, nel 2007 il 97%.
L’autore esalta la potenzialità dei Big Data (raccolta e conservazione ma soprattutto analisi), anche in funzione dello sviluppo o dell’incremento della produzione alimentare.
Ma esamina anche la complessità della Fintech: cioè il sistema dei dati finanziari, il loro sviluppo, la loro capacità di controllare la finanza mondiale. In questo senso tutte le scelte future rispetto al come gestire i dati saranno decisive come lo furono le decisioni sull’uso della terra nell’età agricola, e delle fabbriche nell’età industriale.
Per fortuna, conclude con una nota di speranza che contiene in nuce anche una certa consapevolezza dei rischi di questa situazione: “Speriamo che gli esseri umani accettino la responsabilità di prendere queste decisioni e non le lascino alle macchine.”
Forse il rischio viene più che dalle macchine, dai proprietari delle stesse: chi controllerà i Big Data controllerà la finanza del futuro. Questo il problema, regole o mercato? Il futuro sarà gestito interamente dalla Silicon Valley?
Secondo Ross la soluzione è sempre coniugare Big Data e competenza settoriale, per consentire sviluppi articolati sui bisogni dei singoli territori.
Di qui arriva alla conclusione più interessante forse del libro: l’Autore fa notare come l’epoca della contrapposizione binaria tra capitalismo e comunismo è ormai conclusa, ma al contempo è iniziata l’epoca della contrapposizione tra aperto e chiuso che sarà la chiave del futuro.
Dove il concetto di apertura economica, sociale, politica di uno stato corrisponde, ed è il non detto del libro, con il sogno del liberalismo come forma estrema (e finale) del capitalismo.
Forse proprio in questa logica va letto anche il più recente conflitto tra l’Occidente e la Russia, da tutte e due le parti regna il capitalismo liberista ma da un lato nella forma dell’apertura dall’altro nella forma della chiusura, limitazione che il resto del mondo non può accettare.
STEFANO ZAMPIERI