La millenaria Foresta di Somadida, in provincia di Belluno, è seriamente minacciata dal bostrico, il coleottero tipografo. Infezione che è conseguenza diretta del Vaia e dell’innalzamento della temperatura di questi ultimi anni.
Sono passata accanto alla Foresta di Somadida innumerevoli volte: dalle nostre parti una delle gite fuori porta più gettonate è Longarone-Pieve di Cadore-Auronzo-Misurina, nell’alto bellunese.
Ed è proprio sulla strada che da Auronzo porta a Misurina che si costeggia una delle foreste più belle e ricche e preservate della nostra penisola.
Fin dall’epoca della Serenissima questa è stata custodita come Riserva e il legname era il prescelto per realizzare le migliori navi di Venezia e, in precedenza, persino per le fondamenta della città.
La Biblioteca nel bosco
Un bosco legato in maniera indissolubile con la letteratura tanto da ospitare al suo interno la “Biblioteca nel bosco”, una baita in cui sono raccolti centinaia di libri di narrativa e poesia, saggi e volumi di carattere scientifico, favole e racconti brevi e audiolibri incentrati sul tema del bosco, degli alberi e della foresta che i visitatori possono prendere a prestito gratuitamente per leggerli anche sulle panche tra gli alberi.
Vi è poi, all’interno della Riserva, un “bosco vetusto”, il bosco del Col Nero, a 2000 metri di quota, talmente difficile da raggiungere che alcuni dei suoi larici e pini cembri plurisecolari sono stati scoperti dall’uomo solo nel 2013.
Ma c’è chi, già nel secolo scorso, si era “accorto” di questo bosco. Parliamo di uno scrittore molto caro agli appassionati della letteratura fantastica: Dino Buzzati.
Un piccolo riassunto per chi non ricordasse più il libro di Buzzati (è una lettura che, ai miei tempi, si faceva alle scuole medie).
Il segreto del Bosco Vecchio
I boschi di Valle di Fondo hanno due nuovi padroni: il colonnello Procolo, un uomo che non sorride mai, e suo nipote Benvenuto, un orfano che vuole soltanto essere amato. Il colonnello, però, non conosce tenerezza, e la presenza di Benvenuto lo inquieta tanto da indurlo a desiderarne la morte. Ma né Matteo, vento gradasso, né il malvagio topo con cui Procolo si è alleato riusciranno a far del male al ragazzo, protetto dai Geni che abitano il bosco…
Quando Ermanno Olmi volle dare un volto a Bosco Vecchio, per girarci il film tratto dal libro, venne nel Comelico Superiore e in quel di Auronzo. Quando entrò nel bosco di Somadida restò folgorato e disse: “Eccolo Bosco Vecchio!”. Riconobbe i geni e riuscì probabilmente a sentirli come non smise mai Buzzati anche dopo aver varcato quel passaggio da bambino ad adulto che segna la soglia oltre la quale non si riesce più a sentire la voce degli animali, delle piante e del vento…
“Là c’erano gli abeti più antichi della zona. Da centinaia e centinaia di anni non era stata toccata nemmeno una pianta. Un esercito di geni popolava questa foresta incantata. Dimoravano negli alberi, salvo prendere forma umana quando qualcuno li minacciava…”
Un “fantastico” che ci fa credere nell’incredibile perché i suoi segreti sono un inverosimile che ci aiuta a esaurire il verosimile ne diceva Claudio Toscani in prefazione al libro.
“Ho bisogno di un po’ di tempo, ma in due tre mesi voglio vedere se Matteo non torna quello di prima” diceva Buzzati del vento protagonista del suo libro…
Il Vaia
Il vento qui, nel 2018, l’hanno chiamato Vaia ma io credo fosse quel Matteo che Buzzati aveva dato per morto nel capodanno del 1927…
E a resuscitarlo è stato quel concatenarsi di eventi conseguenti al cambiamento climatico che ci sta portando inesorabilmente alla distruzione del nostro pianeta.
La tempesta Vaia, che ha distrutto svariati ettari di bosco in tutto l’arco alpino (si parla di 17 milioni di metri cubi di abeti buttati a terra), a Somadida non ha portato la stessa devastazione di altri siti come nella vicina Val Visdende (altra location prescelta da Olmi per ambientare Il segreto di Bosco Vecchio), o nella confinante foresta di Paneveggio.
Ma qui, l’inacessibilità di alcuni meandri del bosco, che fino a quel momento lo aveva protetto, ha reso il recupero degli alberi caduti più difficoltoso se non impossibile.
Ed è proprio dagli alberi caduti che sciamano i coleotteri tipografi: il pericolo del bostrico, il coleottero parassita, era ben noto già all’indomani del passaggio del Vaia…
Ma cos’è il bostrico?
“Una densa nuvola di piccole, tozze farfalle bianchicce si alzò rapidamente in cielo.”
Ebbene sì, anche l’infezione del bostrico aveva previsto Buzzati nel “suo” Bosco Vecchio. A portarle, in quel caso, fu un carrettiere “con un gran cappellaccio nero” e le teneva dentro “un grande cassone nero” che da lontano sembrava una bara…
“Fu solo a primavera che si seppe; quando dalle screpolature dei tronchi pullularono migliaia e migliaia di vermi. Le bianche farfalle portate il 26 luglio dal misterioso carro avevano impestato la foresta di uova, le uova avevano aspettato il caldo ed ora infatti i bruchi tra il verde e il giallo sciamavano su per i rami…”
Il bostrico viene definito il coleottero “tipografo” perché incide dei canali nella corteccia degli abeti rossi, ci scava la camera nuziale interrompendo il flusso linfatico. La pianta, gradualmente, muore: prima l’abete perde tutta la resina, poi gli aghi s’ingrigiscono e la corteccia si distacca nella parte superiore del tronco.
È tristemente ironico che una “foresta letteraria” sia seriamente minacciata da un coleottero tipografo, no?
L’abbondante presenza di tronchi caduti e l’aumento delle temperature di questi ultimi due anni (in particolar modo di questa primavera) ha trasformato alcune zone di Somadida in una vera e propria zona di guerra dove l’unica soluzione è bonificare, tagliando gli alberi infetti smaltendoli rapidamente. Considerando che, mediamente, un’infezione dura sei anni, si prevede un’estensione fino a circa venti ettari di foresta: nei prossimi anni si suppone sarà necessario asportare altri duemila metri cubi di tronchi infetti!
Oltre il Vaia, il bostrico e Somadida
Le conseguenze del Vaia saranno molto più nefaste delle previsioni già terribili stilate subito dopo il disastro.
In diversi altri siti colpiti e soprattutto nell’Altopiano di Asiago la caduta degli alberi si è trasformata in un gigantesco business che rischia di distruggere secolari tradizioni nella cura dei boschi. Le piccole ditte boschive che lavoravano con attenzione e direi anche, dedizione, all’ecosistema del bosco hanno lasciato il posto a grandi multinazionali in grado di garantire la velocità nel recupero e nello smistamento dei tronchi caduti.
I potentissimi macchinari usati, gli harvester (mietitrici, che tagliano la pianta, la sramano, la scortecciano e la depezzano, tutto direttamente nel posto) e i forwarder (potenti “trattori” con il carro forestale attaccato e la gru per il carico del legname) lasciano quasi sempre i terreni devastati e l’impianto boschivo rovinato per sempre.
È ovvio che nel caso del Vaia queste macchine siano state provvidenziali, agendo velocemente e non mettendo in pericolo le persone impegnate nello smaltimento.
Il problema è che le piccole aziende di cui prima, per stare al passo e non perdere del tutto il lavoro, hanno investito i loro risparmi nell’acquisto di questi macchinari: è inevitabile il loro uso anche nei boschi in piedi, con conseguenze sull’ambiente che possiamo ben immaginare…
“Ma due o tre volte, quella notte, ci fu anche il vero silenzio, il solenne silenzio degli antichi boschi, non comparabile con nessun altro al mondo e che pochissimi uomini hanno udito.” (Dino Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio)
Debora Donadel
Incantevole!!!