Salve a tutti! Oggi rubo un po’ la scena all’erudito del gruppo, Stefano Zampieri, per raccontarvi le mie impressioni su un saggio filosofico davvero peculiare.
Ne La fine dell’uomo, Joanna Zylinska propone una narrativa alternativa alla lettura apocalittica dell’Antropocene secondo la quale la salvezza verrà da un altrove soprannaturale o tramite una evasione verso altri pianeti. L’autrice propone invece di considerare il concetto di relazionalità per evitare la tipica visione maschilista del soggetto che guarda disinteressatamente il mondo «come possesso e campo di gioco.
RECENSIONE
“La fine dell’uomo. Una controapocalisse femminista” di Joanna Zylinska è un breve pampleth che approda in Italia grazie alla casa editrice Rogas e su traduzione di Gabriela Galati.
Già dal titolo è possibile carpire alcuni dei contenuti che verranno ampliati nelle pagine che seguiranno: “fine dell’uomo” non è da intendersi solo come estinzione della razza né un’estremizzazione della corrente femminista; non troverete ginocrazie che surclassano l’uomo in quanto tale, bensì si abbozza l’idea di una progressiva decrescita – fino alla loro totale scomparsa – delle caste che, al giorno d’oggi, si traduce in una minoranza di uomini bianchi che detengono il suprematismo sia in ambito politico sia cattolico.
La “controapocalisse femminista” viene delineata come un’accettazione della situazione precaria che stiamo attraversando e in una più rassicurante coesistenza; una forma di legame tra umani e non umani dove ci sia una corresponsabilità nei confronti dell’altro e dell’ambiente che ci circonda, scrollandoci di dosso quella distorcente ottica antropocentrica ed è demolendo nei loro aspetti più tecnici le forme maschiliste innescate dalle possibili soluzioni ai mali del nostro tempo che si concretizza, appunto, l’apocalisse dell’antropocene. Viene, dunque, abbracciato un tema molto attuale ovvero il cambiamento climatico che sta lentamente virando in un vero e proprio ecocidio. “Apertura etica” diventa il punto essenziale, l’assioma di questo saggio.
Zylinska coglie a piene mani dal pensiero di Donna Haraway, imbastendo una concezione postmoderna che valica i confini di genere, politica e femminismo stesso. Ne viene fuori un trattato sì provocatorio, ma caratterizzato da una grande razionalità.
Pur apprezzando questa lettura che, ammetto con candore, mi ha aperto gli occhi su tanti concetti, penso di essere stata penalizzata dal fatto di non aver molta dimestichezza con le personalità che Zylinska cita a sostegno della sua teoria, sento di essermi persa dei pezzi importanti per comprendere nella sua interezza questo saggio. Mi sono sentita sopraffatta dalla mole di nozioni che vengono condensate in così poche pagine, complice anche una scrittura non propriamente immediata, nonostante il tono a volte ironico, ma di stampo accademico.
Le riflessioni sulle diverse fini del mondo si sprecano, pagine militanti improntate nell’era della globalizzazione e dell’emergenza climatica.
Una visionaria indagine filosofica che diventa speculazione apocalittica e ragionamento sulla contemporaneità.
Dobbiamo partire dal concetto di “antropocene” e ridisegnarne i confini, ripensarlo e adattarlo col fine ultimo di porre delle basi solide per un futuro “altro“.
Siamo in una fase cruciale di transizione. Tempus fugit.
Elisa R