Recensione di Fermate la produzione! di Giovanni Peli

Lo stranissimo libro di cui vi parlo oggi è Fermate la produzione! – Diario di un arboricolo di Giovanni Peli, Calibano Editore.

Sono gli ultimi giorni del degrado: domani schiacceranno il bottone e la Terra sarà salva. Saranno aboliti tutti i mezzi di trasporto, tranne i jet di rappresentanza, le biciclette e le auto blu, l’acqua sarà l’unico carburante. Si comprerà e si venderà soprattutto per mantenere alto lo stile di vita nella cosiddetta realtà virtuale, quindi anche la maggior parte delle fabbriche chiuderà. Saremo tutti ricchi, immobili. Cosa vogliono dunque da me? Hanno già deciso tutto.

Trama

Il protagonista è stato incarcerato per aver sabotato delle fabbriche. Quando viene liberato ciò per cui era stato incriminato è diventato realtà.

Ma la produzione non si è fermata: si è semplicemente spostata in una realtà virtuale dove tutti sono obbligati ad essere connessi. Le persone sono perennemente sotto controllo, non possono uscire di casa e non possono disconnettersi che per poche ore al giorno. All’esterno, anche nei grossi centri cittadini, vegetazione e animali si sono impossessati di strade ed edifici.

Il protagonista decide di andare nuovamente contro la legge e disconnettersi. Si unisce così agli arboricoli, gente che vive allo stato quasi primigenio, che non vuole dominare l’ambiente ma vivere in simbiosi con esso.

Recensione

Non nascondo che è stato difficile leggere questo libro. L’ho iniziato e riposto una decina di volte. Attratta e disturbata in ugual misura…

Scritto sotto forma di diario (ambientato nel 2078) si tratta in effetti della cronaca del periodo successivo alla liberazione del protagonista, in carcere per aver boicottato, occupato e bloccato le fabbriche.

In effetti la realtà che trova, una volta uscito dal carcere, sembrerebbe proprio ciò per cui si è battuto: le fabbriche sono ferme!

Tuttavia la produzione da fermare è diventata un’altra ed è quella delle connessioni che costringono le persone a vivere perennemente in una realtà virtuale: immobili, inermi e completamente succubi della rete.  

“Qualcosa di buono l’hanno fatto, ma non è sufficiente. Alla dignità della gente non pensano mai. La fratellanza, la giustizia sociale, non sono priorità.”

Mentre all’esterno la vegetazione e gli animali stanno prendendo il sopravvento, le persone rimangono chiuse in casa legate per legge a strani cavi ai quali non si possono scollegare. Gli Ufficiali Sanitari sono i tutori dell’ordine e verificano che chiunque rispetti i tempi di connessione e che non esca di casa.

Il protagonista non ci sta, si strappa le “cannule” e si unisce agli arboricoli, coloro che hanno deciso di vivere allo stato brado, senza nessuna connessione e in commistione con la natura, quasi come uomini primitivi.

“Dobbiamo solo aspettare il momento opportuno: via dei Mille e viale Venezia sono già boschi, lunghi, implacabili. Stando disconnessi, spogliandosi e uscendo finalmente all’esterno, liberi, si può respirare un fiato antico ed eccitante…”

Agli arboricoli si contrappongono gli urbanizzati, cioè coloro che stanno alle regole e vivono connessi, e gli uomini del mare, una specie umana che, misteriosamente, è riuscita ad evolversi pur essendo disconnessa.

Tutto questo scenario è però confuso, non si comprende bene la dinamica dei vari avvenimenti che si succedono in un lasso di tempo, tra l’altro, indefinito: a volte sembrano pochi giorni, a volte mesi, a volte anni.

Non viene spiegato in alcun modo il perché si sia arrivati a certi accadimenti né come la popolazione si sostenga veramente.

Eppure, dietro a quello che sembra un semplice esercizio di stile dell’autore, si intuisce una forte denuncia verso la società attuale sempre più livellante e chiusa dentro i confini della connessione, senza attenzione per il pianeta e le sue risorse, tesa al consumismo senza freni.

Si colgono abbastanza chiaramente i riferimenti con la realtà, soprattutto di quella che abbiamo vissuto durante la pandemia: l’emergenza sanitaria e la bulimia tecnologica dei primi lockdown sono stati evidentemente più di uno spunto per la costruzione di questa storia.

“Instauriamo relazioni con gente incorporea, immaginando impossibili futuri, per poi farci entrare in corpo la medicina che annulla la frustrazione. Dalle cannette che teniamo in bocca passano all’ora esatta elementi nutritivi insapori, i medicinali ci entrano nel sangue attraverso le cannule infilate nel braccio… Ma noi, io e quelli come me, siamo coloro che toglieranno gli elmi della guerra virtuale e si staccheranno le cannule dalle vene e finalmente torneranno a vivere sugli alberi”.

Inoltre mi è sembrato di cogliere una riscoperta dell’amore romantico, distinto dagli impulsi sessuali e dalla fisicità.

Ho apprezzato l’attento uso delle parole, la musicalità della costruzione delle frasi ma anche la particolare estetica nella descrizione delle scene.

Tuttavia è stato complicato tirare le fila della narrazione: un altro libro praticamente senza dialoghi (qui la recensione di Matrix); un lungo monologo/flusso di coscienza in prima persona del protagonista.

La sensazione è che fosse più forte l’immagine che l’autore voleva dare alla sua idea dell’idea stessa e della storia in generale.

Quando l’ho finito ho avuto l’impressione di essere stata traportata là dove non avrei voluto andare.

Quindi è a chi desidera questo tipo di viaggio che consiglio la lettura di questo libro…

Debora Donadel

Fermate la produzione – Giovanni Peli – Calibano Editore – Pag.90

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *