Una “Odissea contemporanea” in tre volumi. Un’opera di prestigio in una confezione unica. “Z213: Exit”, il primo volume della trilogia, ci pone di fronte alla più pura idea di orrore.
Evaso da un carcere, un ospedale o una città distrutta, il protagonista, un Ulisse gettato in un cosmo senza dèi, attraversa le macerie di un mondo violato da una catastrofe bellica. Giunto in una stazione, compra un cappotto logoro, appartenuto a un soldato, nella cui tasca trova una Bibbia tempestata di arcane annotazioni. Da quel momento deciderà di scrivere un diario per raccontare il viaggio che lo ha portato fino a lì: la fuga da una morte collettiva; da un’Apocalisse in cui non vi è speranza di catarsi.
Il secondo volume, “Con la gente dal ponte”, evoca un mondo in cui la morte è un’esperienza reversibile. Il viaggio del protagonista continua. L’uomo giunge in un luogo oscuro, avvolto dalla penombra, costellato di figure umane buttate in un angolo di strada, cani randagi e palazzi degradati; un ambiente che presto si trasforma in una scena di teatro, in cui viene rappresentato il dramma di un uomo e il suo tentativo di strappare alla morte la donna che ha amato. Tra il rincorrersi di voci nei vicoli e il rumore bianco di una tv che non funziona, la realtà si confonde, scandita unicamente dai treni che continuano a correre sulle sopraelevate.
E infine “La prima morte”, il terzo volume, dà voce a un delirio allucinatorio, che nasce nel solco della tragedia. «La prima morte» è il titolo di un libriccino, rinvenuto dal protagonista durante un viaggio in treno, del quale qui leggiamo il contenuto: un uomo è disperso su un’isola deserta, e nelle quattordici sezioni che compongono il poema vengono narrati i suoi tentativi di sopravvivenza in un mondo avvolto dalla morte. Il deterioramento sembra giungere al culmine, ma qualcosa, un lampo prima dell’oscurità, sottrae l’uomo al suo destino, proiettandolo nello spazio come una particella alla deriva, verso un luogo in cui forse potrà un giorno tornare a vivere.
RECENSIONE
Sono felice oggi di parlarvi di una delle opere migliori del mio 2022 letterario.
Il Saggiatore propone, in un gradevole cofanetto, l’intera trilogia Poena Damni dello scrittore greco – ma anche poeta e drammaturgo – Dimitris Lyacos.
Triade elaborata nell’arco di trent’anni che si divide in:
• Z213: Exit
• Con la gente dal ponte
• La prima morte
Questo corpus si inserisce di diritto all’interno della letteratura neoellenica in cui figurano autori come Nikos Kazantzakis – a lui si devono opere come Zorba il Greco e il prosieguo dell’Odissea – e Vanghelis Chatzighiannidis; per evitare spiacevoli e involontarie anticipazioni, mi limiterò a darvi le mie impressioni complessive.
Intanto inquadriamo il contesto.
Un protagonista senza nome riesce a fuggire da una città sull’orlo dello sfacelo narrando, attraverso una Bibbia che si presta a diventare diario personale, tutti gli avvenimenti che affronterà da quel preciso momento. Non conosceremo mai il suo nome né da chi sta scappando, né tantomeno c’è dato sapere qualche nozione in più sulle cause che hanno dato vita a questo mondo di devastazione.
L’autore ci catapulta direttamente in medias res. Ecco, se cercate un romanzo che si focalizzi molto su worldbuilding e approfondisca l’elemento distopico non fa per voi se, invece, avete voglia di confrontarvi con la combinazione di tecniche narrative “nuove” non lasciatevelo sfuggire.
Fatte le dovute premesse, alla luce della lettura dell’intera trilogia, il punto di forza della stessa risiede nella sua intelaiatura stilistica che ne fa un classico esempio di letteratura ibrida: piena di metatesto, poesia, dramma, prosa. Ha quel fascino crepuscolare tipico della corrente postmoderna, grazie ad una scrittura frammentata che dà quasi l’idea di un mosaico le cui tessere sono composte da brani, più o meno lunghi, di poesia in prosa, componimenti poetici veri e propri, rimandi classici ed evangelici; la punteggiatura è libera e anche la scelta grafica risulta interessante, data la differenza di fonts utilizzati si assesta bene nella letteratura ergodica. Questo miscelare prosa e versi non è un espediente nuovissimo nel panorama letterario moderno, tuttavia, Lyacos scrive come nessun altro, riuscendo a lasciare la sua “impronta”, il suo è un narrare dal taglio asettico e mantenuto sulla visionarietà, ma dà prova di un lirismo alto e sofisticato.
Un protagonista che sta vivendo un cedimento morale e fisico dettato dall’ambiente decadente e pericoloso che lo circonda, scorci di una civiltà dilaniata, pessimismo cosmico e nichilismo allo stato puro assieme agli sprazzi di uno scenario di devastazione dal grigiore corrusco: per tutti gli elementi sopracitati mi è sembrato di leggere una versione apocalittica di uno dei racconti di Thomas Ligotti.
È un peccato non avere il testo greco a fronte, ma un encomio va certamente fatto alla traduttrice Viviana Sebastio, per essere riuscita nella non facile impresa di preservare l’anima del testo e renderlo fruibile qui in Italia.
L’autore avvalendosi del viaggio del suo anonimo Odisseo – una funambolica epopea a metà tra il pellegrinaggio e la catarsi – tratteggia un’umanità messa all’angolo da questa nuova condizione che li sorprende a stretto contatto con i morti in un legame tanto dall’inclinazione rituale quanto trascendentale. Che sia una sorta di premonizione del nostro futuro?.
La trama che vi ho riportato a inizio commento non è così netta né lineare come viene rappresentata, ho dovuto rileggere alcune parti più volte perché la struttura grafico-narrativa associata a questo stile colmo di minuzie stranianti mi confondeva.
Poena Damni non è un’opera cervellotica, ma penso sia giusto approcciarvisi con la consapevolezza che il libro che stringerete tra le mani sia “multistrato”, complesso.
È un romanzo-rivelazione che infonde nel cuore del lettore una forte sensazione di perturbamento, forse data anche dalla pregnante sofferenza che alberga tra le sue pagine.
Credo di doverlo sedimentare un po’ prima di trarne le dovute conclusioni, non sono neanche sicura di averne colto del tutto le mille sfumature, l’unica certezza è che sono sopraffatta da tanta bellezza.
Spero davvero giungano in Italia altre opere di questo grande scrittore.
Elisa R