Recensione Il padrone del mondo di J. Verne

Il padrone del mondo è uno degli ultimi romanzi di Jules Verne. Pubblicato nel 1904, va considerato come il seguito di Robur il conquistatore di qualche anno precedente (1886). Torna oggi in libreria in una bella edizione illustrata a cura della giovanissima casa editrice Black Dog di Savona che ripropone la versione originale italiana del 1906 dopo aver ripulito opportunamente la traduzione che appare così limpida e altamente leggibile pur conservando un certo piacevole sapore d’antico.

TRAMA

Protagonista è l’investigatore John Strock il quale è chiamato a far luce su una serie di eventi misteriosi: una montagna che si illumina come fosse un vulcano, un mezzo misterioso che viaggia sul mare e sulla terra a velocità mai viste prima, un mezzo che sembra in grado di viaggiare velocissimo sott’acqua.

Inizialmente Strock non riesce nell’intento ma poi mettendo insieme gli eventi ci si rende conto che si tratta sempre dello stesso mezzo.

Riuscirà ad appartarsi e a sorprendere  il misterioso equipaggio, ma per una sfortunata casualità si troverà prigioniero nel mezzo stesso comandato, scopre, da Robur il conquistatore che si proclama Padrone Del Mondo e rifiuta di condividere la sua invenzione anche rinunciando a favolose offerte di denaro.

Il finale è drammatico: dapprima Strock è costretto suo malgrado a viaggiare a bordo dello Spavento, che è appunto questo mezzo straordinario, mosso da motori elettrici e in grado di viaggiare indifferentemente sull’acqua e sotto l’acqua, sulla terra e perfino nel cielo.

Ma Robur travolto da una sorta di delirio di onnipotenza, affronta una terribile tempesta che finirà per  distruggere il mezzo e porrà fine alla sua vita.

Strock si salva e può dunque raccontare tutta questa storia.

Per chi conosca un po’ Verne è facile riconoscere in queste pagine l’orgoglio positivista che ha sempre ispirato le sue opere. L’esaltazione della scienza che può aspirare a superare ogni ostacolo e andare oltre ogni limite umano spinta dal mito della elettricità che per tutto il XIX secolo è apparso come l’energia prometeica in grado di rimodellare il futuro.

Tuttavia, in quest’opera, e forse diversamente da quanto accade per esempio in 20.000 leghe sotto i mari e nel precedente Robur il conquistatore, la figura del pacato e razionale Strock serve anche a mettere in evidenza il punto di non ritorno di un atteggiamento superomistico che rischia la follia e l’isolamento.

Forse anche edotto dalle opere coeve di Wells ( non a caso uno dei personaggi del romanzo porta proprio questo nome), Verne dopo una vita di esaltazione incondizionata, coglie infine anche il pericolo contenuto nel lasciare libero corso alla creazione scientifica e tecnica.

Perché se è vero che scientia est potentia è anche vero che la potenza – che la tecnica moderna vorrebbe fosse solo costruttiva – può diventare anche distruttiva e mettere in pericolo lo stesso creatore.

STEFANO ZAMPIERI

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *