Una recente ricerca scientifica ha provato che la scomparsa degli impollinatori causa circa 500mila morti all’anno.
La diminuzione degli impollinatori, in particolare, è stata stimata, nel 2021, nel 1-2% dalla comparazione di 12 diversi studi scientifici differenti.
Si tratta di una vera e propria catastrofe, non solo per la conservazione degli ecosistemi, ma anche per la salvaguardia della salute umana.
La ricerca
E, infatti, la ricerca scientifica pubblicata dalla rivista Environmental health perspectives a dicembre del 2022 ha, per la prima volta, studiato gli effetti sulla salute umana della diminuzione degli animali impollinatori.
In particolar modo la ricerca si è posta tre essenziali interrogativi motivazionali:
- Quanto cibo in più sarebbe stato prodotto se l’impollinazione globale fosse stata “normale”?
- Chi avrebbe consumato quel cibo e quali benefici per la salute avrebbero avuto? Quante malattie e morti legate all’alimentazione avrebbero potuto essere evitate?
- Soprattutto per i paesi a basso reddito, quali sono i costi economici di un’impollinazione insufficiente?
Il dottor Samuel Myers della Th Chan school of public health dell’università di Harvard, autore senior dello studio ha dichiarato: “Questa ricerca stabilisce che la perdita di impollinatori sta già avendo un impatto sulla salute umana su scala pari ad altri fattori di rischio per la salute globale, come il cancro alla prostata o i disturbi da uso di sostanze”.
Bisogna specificare che, quando parliamo di impollinatori, non si parla solo di api (gestite), ma anche e soprattutto di api selvatiche, sirfidi, farfalle, falene, alcuni coleotteri, vespe, rettili, uccelli etc.
Gli impollinatori sono più efficienti nel fornire polline rispetto al vento o all’autoimpollinazione, il che aumenta il successo della fecondazione e migliora i semi e l’allegagione (transizione dell’ovulo/ovaio al frutto/seme), con conseguenti maggiori rese.
Inoltre, gli impollinatori animali migliorano l’impollinazione incrociata tra piante diverse, aumentando così la diversità genetica limitando la consanguineità.
Le piante che si basano sull’impollinazione animale includono colture da reddito (caffè, cacao, spezie) e molti gruppi di alimenti importanti per la salute globale (frutta, verdura, noci, legumi) che, se consumati in quantità maggiori, hanno dimostrato negli studi epidemiologici sull’uomo per essere protettivo contro una serie di malattie croniche non trasmissibili (NCD), tra cui malattie cardiache, ictus, molti tipi di cancro e diabete.
Inoltre, poiché gli impollinatori selvatici aumentano i raccolti senza richiedere input esterni regolari, possono generare un reddito significativo per gli agricoltori, migliorando così i mezzi di sussistenza degli agricoltori, con potenziali implicazioni a valle per la loro salute. Questi benefici sono realizzati senza alcun impatto ambientale negativo associato. Numerosi studi hanno stimato il contributo dell’impollinazione animale al valore annuo della produzione agricola globale da 224 a 577 miliardi di dollari (nel 2015).
In Europa, l’esistenza di circa l’84% delle specie coltivate e il 78% delle specie a fiore selvatiche dipende da questi organismi, per un valore economico relativo al solo comparto agricolo assolutamente impressionante visto che, secondo la Commissione europea, ogni anno gli insetti impollinatori generano 15 miliardi di euro.
Inoltre (e per restare nel “nostro” orticello italiano) uno studio dell’ISPRA (Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha stabilito che oltre il 75% delle principali colture agrarie e circa il 90% delle piante selvatiche da fiore si servono di api, vespe, farfalle, coccinelle, ragni, rettili, uccelli e mammiferi e in generale di impollinatori per trasferire il polline da un fiore all’altro e riprodursi. L’impollinazione animale, consentendo a tantissime piante di riprodursi, è la base fondamentale per l’ecologia delle specie e il funzionamento degli ecosistemi, la conservazione degli habitat e la fornitura di una vasta gamma di importanti e vitali servizi e benefici per l’uomo, inclusa la produzione di alimenti, fibre, legname e altri prodotti tangibili. In sintesi, l’impollinazione soprattutto entomofila è alla base della biodiversità, della nostra esistenza e delle nostre economie.
Ma perché gli impollinatori animali stanno diminuendo così drasticamente?
Gli impollinatori animali, in particolare quelli selvatici sono sempre più minacciati a causa di una serie di pressioni antropiche dirette e indirette:
- Cambiamenti pervasivi dell’uso del suolo
- Riduzione delle terre selvagge
- Predominio delle aziende agricole che coltivano grandi monocolture
- Tecniche di allevamento intensivo
- L’uso in corso di pesticidi (soprattutto di neonicotinoidi)
- L’impatto generale del cambiamento climatico (gli impollinatori sono costretti fuori dal loro raggio d’azione storico per trovare nuove condizioni ambientali adatte; facendo in modo che nuovi predatori, concorrenti e agenti patogeni invadano ambienti di nuova abitazione; e aumentando l’asincronia tra gli impollinatori e le loro specie vegetali coevolute). Trovate diversi riferimenti agli effetti del cambiamento climatico in questi articoli: “Morire di caldo”, “Emergenza siccità” e “Tempesta polare”.
I risultati
I modelli utilizzati da questo studio sono stati predisposti secondo una zonazione climatica, i divari di rendimento attribuibili a impollinatori insufficienti e una valutazione comparativa del rischio per stimare i relativi cambiamenti nei rischi dietetici e nella mortalità per paese e a livello globale.
I numeri che escono da questa ricerca sono impressionanti: il 3%–5% della produzione di frutta, verdura e noci viene perso a causa di un’impollinazione inadeguata, portando a una stima di 427.000 morti in eccesso all’anno a causa della perdita del consumo di cibo sano e delle relative malattie.
In particolare:
- La diminuzione dell’assunzione di frutta ha contribuito a 189000 decessi l’anno
- La diminuzione dell’assunzione di verdura ha contribuito a 151000 decessi l’anno
- La diminuzione dell’assunzione di noci ha contribuito a 99000 decessi l’anno
Gli impatti sono distribuiti in modo non uniforme: la produzione alimentare persa è concentrata nei paesi a basso reddito, mentre gli impatti sul consumo di cibo e sulla mortalità attribuibili a impollinazione insufficiente sono maggiori nei paesi a reddito medio e alto con tassi più elevati di malattie non trasmissibili.
E inoltre: il valore economico della produzione agricola sarebbe inferiore del 12%–31% rispetto a se gli impollinatori fossero abbondanti (a causa di perdite di produzione agricola del 3%–19%), principalmente a causa della perdita di frutti e produzione di ortaggi.
Un’altra serie di dati che rasentano l’assurdo:
- 768 milioni le persone in tutto il mondo sono denutrite (dato in costante crescita dal 2015, dopo un decennio di declino)
- 2 miliardi di persone soffrono di carenze di micronutrienti (le carenze più comunemente riportate sono di ferro, così come zinco diffuso inadeguato, vitamina A, e proteine per particolari gruppi di popolazione)
- 2 miliardi di adulti in tutto il mondo sono in sovrappeso o obesi (obesità e malattie metaboliche sono dovute all’eccesso di apporto calorico, mentre un grande carico di malattie, dall’ipertensione arteriosa al diabete, derivano spesso dall’assunzione inadeguata di cibi sani, come frutta, verdura e noci).
Concludendo mi sento di dire che, su questo tema, forse la fantascienza, occupandosi spesso di invasioni di varie e diversamente sviluppate specie di insetti e animali o delle possibili trasformazioni di uomini in animali, sia stata poco predittiva.
La vera apocalisse, oggi, è la progressiva scomparsa di molte specie animali.
Debora Donadel