Confesso la mia difficoltà a riconoscere forma e confini dei molti sottogeneri del fantastico, spesso pure invenzioni commerciali, effetti di marketing, se non addirittura disperata ricerca di una identità letteraria poco chiara. Di fronte a un testo di China Miéville dovrei iniziare parlando del genere weird del quel è uno dei massimi rappresentanti, ma confesso che non me la sento. Ne parlerò invece come di uno scrittore potente, dotato di grande maestria nella gestione della lingua e sapiente nella costruzione dell’intreccio. Il testo che voglio presentare è L’uomo del censimento, magnificamente tradotto da Martina Testa e pubblicato da Zona42.
TRAMA DE L’UOMO DEL CENSIMENTO
È un po’ difficile ricostruire la trama per il modo in cui la narrazione è condotta. La voce narrante è quella di un bambino di nove anni, e dunque seguiamo, con i suoi occhi, una vicenda che bisogna di fatto ricostruire. Egli assiste alla scena del padre che uccide la madre e la getta in un pozzo di scarico dei rifiuti. Quando però cerca di far sapere quanto è accaduto nessuno gli crede, ci sono delle indagini che non portano a niente, compare una misteriosa lettera secondo la quale la madre se ne sarebbe andata di sua iniziativa. Il padre, personaggio molto equivoco e incomprensibile, è un fabbricante di chiavi, ma si tratta di chiavi che risolvono problemi, il cliente racconta le sue difficoltà e il padre costruisce una chiave opportuna. Compaiono altri personaggi, i bambini con cui il protagonista si confronta, ma anche essi sono non meno enigmatici degli altri, gli abitanti del villaggio, due capre, una vecchia che mastica scarafaggi.
Alla fine compare l’uomo del censimento, il solo che sembra voler aiutare il ragazzino, tanto che scende nel pozzo per verificare se effettivamente vi sia il corpo della madre, non sapremo quel che vi trova ma sappiamo che il ragazzo se ne andrà con lui.
RECENSIONE DE L’UOMO DEL CENSIMENTO
Una cosa colpisce subito il lettore: l’aura di mistero che circonda l’intera narrazione: misteriosi sono i personaggi che sembrano carichi di una storia pregressa su cui non si fa mai luce, misteriosa l’ambientazione, un paesino che si sviluppa intorno a un ponte. La sensazione è quella di trovarsi in una specie di day after, l’umanità dopo una catastrofe. E forse l’elemento più vistosamente simbolico è proprio il pozzo, dove il padre getta gli animali che uccide, e i rifiuti della vita quotidiana. In quella sorte di buco nero le cose precipitano e si perdono, tutto ruota intorno ad esso come se fosse lì ad ammiccare, a mostrare il destino di ognuno e di ogni storia.
Alla fine si resta un po’ perplessi perché mancano le risposte alle molte domande che la narrazione ha posto, ma allo stesso tempo non si può non ammirare la capacità dell’autore di creare un mondo in sospensione, un’attesa senza compimento, uno spaccato del mondo senza tempo, nel quale reale e fantastico giacciono abbracciati.
STEFANO ZAMPIERI