Recensione I dipendenti di Olga Ravn

TRAMA DE I DIPENDENTI

A bordo della seimillesima nave partita dalla Terra, dipendenti umani e le loro controparti umanoidi lavorano insieme secondo protocolli aziendali ben consolidati. La loro missione è quella di curare e accudire i misteriosi oggetti, seducenti e forse senzienti, prelevati dalla valle del pianeta Nuova Scoperta, attorno al quale orbitano.

Strutturato come una serie di testimonianze compilate da una commissione chiamata a indagare, I dipendenti è il racconto degli eventi accaduti sull’astronave in seguito alla presa in consegna degli enigmatici oggetti. Dopo il loro arrivo, l’equipaggio di bordo si scopre perplesso di sentirsi profondamente connesso a essi. Gli oggetti influenzano i loro custodi umani e umanoidi in modi diversi ma simili; suscitano risposte erotiche in alcuni, paranoia in altri, perfino un inquieto senso di responsabilità materna. Tutti si rivelano tormentati dagli stessi desideri: calore e intimità, repulsione e disgusto. La situazione – anche per quanto riguarda gli inquirenti – si fa sempre più cupa e preoccupante. A poco a poco, i dipendenti iniziano a vedere il loro lavoro sotto una nuova luce, e ognuno è portato a chiedersi se il processo che li lega può continuare a essere lo stesso. Una domanda su tutte li tormenta: cosa significa davvero essere vivi?

Un’epopea fantascientifica sui confini tra vita e non vita, piacere e funzione; una premonizione del nostro futuro dominato dal lavoro e dalla logica della produttività.

RECENSIONE DE I DIPENDENTI

Amici di LDFO, oggi vi parlo di un romanzo della scrittrice e poetessa danese Olga Ravn che arriva in Italia su
traduzione di Eva Kampmann, per la casa editrice Il Saggiatore. Il titolo “I dipendenti” a tutto fa pensare, fuorché a un libro di fantascienza, dico bene? E, invece, bisogna mettere da parte i pregiudizi e “approfondire”.
Dalla sinossi ricaviamo delle informazioni ben precise: un equipaggio, a seguito di una missione nello spazio, per scopi di ricerca preleva dei misteriosi oggetti e, dal momento in cui stabiliscono un contatto con essi, ognuno dei componenti ne verrà influenzato in modi diversi, compromettendo l’esito dell’operazione e minando, dunque, al loro rendimento. Quello che ci apprestiamo a leggere sono le dichiarazioni di ogni singolo membro di fronte alla Commissione, interpellata a ricercare le cause di quanto accaduto e venirne a capo.
Ma la chiarezza della trama non è quella che troviamo all’interno dell’esposto, i pezzi del puzzle ci arrivano a piccole dosi e sta al lettore essere abile nel metterli insieme.

[…] Può benissimo essere il motivo per cui mi considerate una criminale. Mezza umana, di carne e di tecnologia. Troppo viva.

È un romanzo che si incasella bene tanto nel genere fantascientifico – per le virate distopiche e da space opera – quanto per la propensione al postmoderno, data la presenza di una trama “indisciplinata” e per il piglio da pamphlet filosofico.


Strutturato, appunto, come un dossier delle deposizioni in cui questi personaggi senza nome, s’interrogano e arrovellano sulla vita, la morte, l’immortalità e l’appartenenza a categorie imprecise come la distinzione tra nati e creati, umani e “umanoidi”. Ravn indaga con acribia quali difformità si nascondono tra essere umano e oggetto, enfatizzando il significato di essere vivi ontologicamente parlando.
Le voci che si alternano di pagina in pagina hanno il fascino fugace delle meteore, l’incessante affastellarsi delle loro schiette affermazioni rasenta la prosa poetica. Ci sono brani che sono stati capaci di toccare certe corde del cuore in modo pressoché unico.


Il pregio dell’opera sta nella sorprendente capacità dell’autrice di impiantare una storia quasi del tutto incentrata sull’aspetto emozionale, dove le connessioni rappresentano uno degli aspetti portanti, perché un altro è certamente l’identità intesa come costruzione di un io ad hoc “per gli altri”. Ma non si limita solo a questo, offre scintille di verità che sconfinano ora nell’insoddisfazione ora nell’insicurezza, una visione arguta e disincantata di una vita che viene incanalata in linee prestabilite governate dalla religione del lavoro e dalla logica della produttività.
È un libro che va sedimentato perché rimuginare sopra a queste informazioni potrebbe risultare soverchiante, per l’implacabile lucidità con cui si affronta una delle innumerevoli note dolenti del nostro tempo: siamo sopraffatti dal lavoro; prima dall’urgente ricerca di un impiego, poi dallo stress di mantenerlo per mantenersi e ultimo, ma non meno importante… Quanto ci definisce il nostro mestiere?

Uno è più del lavoro che fa, o è: Uno non è soltanto il lavoro che fa?

Ve lo segnalo per l’originalità e la “delicatezza” del tessuto narrativo che rende parte integrante di un immersivo viaggio nella sfera emozionale senza rinunciare a quel pizzico di fantascienza sociologica.

Elisa R

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