È stata Naja Lyberth la prima groenlandese a raccontare la sua storia nel 2017; la sua testimonianza venne poi raccolta con quelle di altre donne inuit che avevano avuto lo stesso trattamento in un podcast pubblicato nel 2022. Ad ognuna di loro è stata impiantata una spirale contraccettiva durante dei controlli medici quando ancora andavano a scuola.
Il podcast ha portato alla luce dei documenti dove si certifica che tra il 1966 e il 1970 furono circa 4.500 le inuit a cui fu impiantata una spirale, circa metà delle donne fertili della Groenlandia.
Il piano di Copenaghen, chiamato “Danish coil campaign”, sarebbe riuscito in pochi anni a dimezzare il tasso di natalità dell’isola che fra gli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta sperimentò un vero e proprio boom delle nascite, finché nel 1970 si raggiunse il raddoppio della popolazione dell’isola.
Quel boom era dovuto ai piani di modernizzazione del governo, che avevano migliorato il sistema sanitario groenlandese riducendo malattie e mortalità infantile in un periodo in cui la Groenlandia, territorio danese dal 1814, aveva appena cessato di essere una colonia per diventare nel 1953 parte integrante del Regno di Danimarca.
Ora 67 donne, tra cui Naja Lyberth, hanno chiesto al governo danese 300mila corone ciascuna, l’equivalente di circa 40mila euro, minacciando di fargli causa se non dovesse accettare. Tenete conto che molte di queste donne, oltre all’evidente danno morale, hanno dovuto sopportare per anni dolori acuti, emorragie interne e infezioni addominali che in molti casi hanno portato a un intervento di isterectomia.
Il podcast del 2002, dal titolo “Spiralkampagnen” (Campagna a spirale), ha spinto il governo danese e il governo autonomo della Groenlandia ad istituire una commissione di indagine indipendente con il compito di indagare le pratiche contraccettive praticate in Groenlandia dal 1960 al 1991, anno in cui il sistema sanitario dell’isola divenne autonomo.
Tuttavia alcuni attivisti hanno criticato la portata limitata della campagna. Nel dicembre 2022, infatti, BBC News ha osservato che numerose donne e ragazze sostengono che questa campagna sia continuata dopo il 1991.
Almeno nove donne hanno denunciato al governo il posizionamento non consensuale della spirale dopo il 1991; gli investigatori hanno scoperto che quattro operazioni sono avvenute senza consenso (tre avevano un consenso documentato), otto dei nove casi presumibilmente sono avvenuti dopo il 2000 e la maggior parte è avvenuta mentre le donne erano sotto anestesia per aborti indotti.
Nivi Olsen, membro Demokraatit dell’Inatsisartut (parlamento groenlandese), ha chiesto che l’indagine venga ampliata per includere misure di controllo delle nascite successive al 1991.
I risultati dell’indagine dovrebbero essere pubblicati nel 2025…
Breve nota sul libro “La valle dei fiori” di Niviaq Korneliussen
È strano, e particolare, che, quando Delos mi ha segnalato questa notizia, avessi appena iniziato “La valle dei fiori” di Niviaq Korneliussen, libro insignito nel 2021 del più alto e prestigioso riconoscimento letterario scandinavo, il Premio del Consiglio Nordico, assegnato per la prima volta a un’autrice groenlandese.
È un libro che parla di suicidi in una terra, la Groenlandia appunto, che è tra i paesi che ne detengono il record mondiale pro capite. Parliamo di 82 suicidi per 100000 abitanti, la maggior parte tra i 15 e i 24 anni.
Ma lo sfondo in cui si muove la protagonista è quello di una realtà di discriminazione, a volte anche molto feroce, dei danesi nei confronti dei groenlandesi.
Insomma, non potevo fare a meno di parlarvene perché, anche se non ha niente a che fare con la fantascienza, lo scenario della Valle dei fiori è inerente a questo fatto distopico e ne ricorda per certi versi molti altri.
La valle dei fiori
La protagonista de La valle dei fiori vive a Nuuk, la capitale della Groenlandia, è giovane e ribelle, ha una ragazza che la ama e un futuro che l’attende in Danimarca, dove sta per iniziare l’università.
Ma lei si sente troppo grossa, troppo scura, troppo diversa dai compagni di studio, e se da un lato vuole andarsene dalla Groenlandia per emanciparsi dalla sua famiglia (odiata quanto amata) e dal senso di smarrimento costante che prova vivendo ai margini dell’Occidente globalizzato, dall’altro avverte il disprezzo che aleggia tra i compagni di corso, gli insegnanti, addirittura nella responsabile dell’accoglienza dei groenlandesi nello studentato dove alloggia.
E così sprofonda in un disagio che in realtà ha sempre avvertito, un senso di inadeguatezza e vertiginosa solitudine, un bisogno bruciante di amore unito a una paura di deludere e di donarsi con cui finisce per far male agli altri quanto a sé stessa.
Un malessere che da bambina la portava a nascondersi sul Monte Corvo, nella tana di uno «spirito della montagna», e che prende il sopravvento quando un lutto la conduce nella natura maestosa della Groenlandia orientale, fino a una valle di fiori di plastica, piena di croci anonime e dimenticate.
È proprio lì, nella Valle dei fiori che finiscono i tanti giovani inuit che ogni anno si tolgono la vita, nel silenzio del sistema e delle loro stesse famiglie, un tabù di cui nessuno vuole parlare.
Questa protagonista non ha un nome, scelta dichiaratamente voluta dall’autrice per sottolineare quanto tutti questi morti suicidi siano invisibili, non notati, ignorati, anonimi com’è anonimo il loro dolore.
Non è simpatica, non è uno di quei protagonisti con cui empatizzi, eppure ti arriva come un pugno in faccia tutto il suo dolore, ti spiazza il suo senso di inadeguatezza, ti corrode il suo disperato bisogno d’aiuto.
I capitoli del romanzo sono un conto alla rovescia ed iniziano ognuno con delle notizie o un epitaffio di morti suicidi quasi sempre scollegati dalle vicende della protagonista ma che ne riassumono il senso.
Ci si interroga lungo tutta la storia sul perché di tanti suicidi e di alcuni in particolare. Mi ha colpito la risposta che la protagonista dà alla sua ragazza:
“Può anche darsi che sia successo e basta, che si sia tolta la vita e basta. […] Io penso che non le sia successo nulla. Penso che purtroppo, semplicemente, non era fatta per vivere, come tanti altri. È solo che ci sono alcune persone che è come se non fossero adatte a vivere. […] Alcune persone non sono brave a vivere come le altre. E può darsi che fosse solo questo, che lei non appartenesse a questo mondo, che non le andasse di vivere”
In realtà il disagio della protagonista ha radici profonde sul sentirsi sbagliata in ogni luogo: emarginata in Groenlandia, discriminata in Danimarca.
“Sai perché ci sono così tanti corvi in Groenlandia? Sono un presagio di morte e sciagura. La Groenlandia è condannata a morte, e noi ce ne siamo andate in tempo, tu sei sopravvissuta, noi siamo sopravvissute. È il corso della natura che un popolo che non sa come cavarsela a questo mondo venga spazzato via, è il survival of the fittest, e tu sei sopravvissuta. Sei una survivor, sei forte. Non c’è niente di sbagliato in te, sono loro a essere sbagliati.”
E quando decide di andarsene anche dalla Danimarca:
“Addio. Siete tutti brutti e mi giudicate, siete dei quadrati e io sono un cerchio! E se anche lo fossi? Razzisti di merda! Non tornerò mai più qui! Addio!”
Questo libro è stato un triste viaggio doloroso, a volte disturbante, molto spesso angosciante. Mi ci sono voluti giorni per metabolizzarlo e forse non ci sono riuscita del tutto neanche ora, dopo quasi un mese.
Eppure o proprio per questo non posso fare a meno di consigliarvelo.
Debora Donadel
La valle dei fiori, Niviaq Korneliussen – Iperborea, collana: Gli Iperborei – Anno edizione: 2023 – Pagine: 298