Recensione Il focolare è una bestia affamata di Angelo Maria Perongini

TRAMA

Mancano pochi giorni al Natale. Lando, che vive e studia in città, per la prima volta in vita sua ha deciso di non tornare al paese per le feste. Tuttavia una telefonata della sorella gli farà cambiare idea e presto si ritroverà nella piccola ma labirintica casa di famiglia, in una via solitaria di montagna con di fronte un’unica altra abitazione, abbandonata e ormai semidistrutta. Nonostante le richieste del ragazzo di non passare il Natale con i parenti fascisti, questi ultimi si presentano la sera della vigilia, dando inizio a una cena da incubo. Tutto precipita quando Neve, la piccola peste di famiglia, sparisce nel nulla attirata dal suono di un campanello che nessuno ha suonato. Tutti si mettono alla sua ricerca, ma i sospetti e i dissapori familiari prendono una piega sempre più inquietante, in un intrico di recriminazioni e silenzi, fenomeni inspiegabili, strani vuoti di memoria, assenze e oscure presenze.

RECENSIONE

Ah, il Natale… il giorno più magico e atteso dell’anno.
Alberi variopinti e decorati a festa, aria nostalgica data dalle tradizioni di famiglia, regali e convivialità fatta di affettuosità e armonia. Ma direi che è ora di dire basta a tutta questa retorica buonista e anziché proporvi una storia incentrata sulla magia del Natale, oggi ve ne suggerisco una che ne rappresenta l’antitesi.

Appartenente alla collana “I Tardigradi – Nuova Biblioteca del Fantastico” della Eris Edizioni, “Il focolare è una bestia affamata” di Angelo Maria Perongini è una novelette che si sviluppa nell’arco di una notte, quella di una gelida Vigilia di Natale.
Già dal titolo intuiamo che ha poco o nulla del clima rassicurante che caratterizza le festività natalizie.
Non voglio soffermarmi più di tanto sulla trama, la sinossi è già di suo molto esplicativa.

Una famiglia che si riunisce nell’ottusa routine delle festività su cui l’autore dispiega una patina sinistra, scuotendo gli equilibri per mettere in risalto il lato oscuro del Natale.
Dalla sparizione di Neve, il panico circola dapprima tramite una ricerca forsennata della bimba e, poi, per mezzo di inquietudini più soffuse e psicologiche.
Lando e sua sorella Viviana sono i personaggi principali e si contendono la scena, sono molto diversi tra loro ma accumunati da una sorta di irrequietezza. Per tutta la durata della lettura aleggia un senso di fatalismo e un orrore metafisico pervade la mente del lettore.

Potremmo definire questo racconto come una terrificante variazione di un crimine a porte chiuse oppure come una parabola moderna davvero godibile, ma mai stucchevole sui rapporti umani in particolari quelli del vincolo familiare.
Il canovaccio non brilla di originalità, ma ciò è compensato dalla prosa di Perongini capace di infondere una tensione sottile e persistente che combina l’atmosfera da brivido, data dal trovarci in pieno inverno a quella del risvolto oscuro della storia. Peccato per il finale, l’ho trovato troppo precipitoso e intenzionalmente ambiguo.
Tuttavia mi sento di consigliare questo racconto anche a chi non è un grande amante degli horror, così da avvicinarsi al genere in maniera un po’ più soft e restarne comunque affascinato.

Elisa R

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