La serie Netflix retro futuristica che illude, annoia, confonde e alla fine non delude. Un trip mentale tra realtà e allucinazioni per cercare una catarsi emotiva che rischia di far perdere la pazienza.
Trama Maniac
Due estranei, uno schizofrenico e una depressa cronica, vengono coinvolti in una misteriosa sperimentazione farmaceutica in cui sono esposti a un composto chimico che dovrebbe risolvere qualsiasi problema mentale. Tuttavia, le cose non vanno come pianificato dai medici.
Recensione
Maniac, che ha tra i protagonisti Emma Stone e Jonah Hill, trascina il pubblico in un futuro prossimo con forti richiami all’immaginario fantascientifico anni 70. In un’America senza Statua della libertà e in cui tutti quelli che contano, o che vogliono fare affari, parlano giapponese.
Siamo nel futuro, c’è una tecnologia avanzata ma basata su uno sviluppo tecnologico simile a quello previsto a cavallo degli anni 60 e 70 del secolo scorso: non ci sono smartphone, ologrammi senzienti o computer quantistici neurali. Le persone che non possono permettersi di pagare, o che semplicemente vogliono risparmiare, si affidano alle pubblicità e, in cambio di un caffè o di un pasto, accettano che un addetto pubblicitario li segua per un tot di ore per promuovere i prodotti di cui è rappresentate.
La serieinizia mostrandoci Owen Milgram (Jonah Hill), uno schizofrenico cresciuto in una famiglia che lo esclude (pure nel ritratto di famiglia) e che crede di vedere ovunque segnali che lo porteranno prima o poi a salvare il mondo, e con Annie Landsberg (Emma Stone), una giovane donna non riesce ad accettare la morte della sorella e che cade in un abisso di depressione e dipendenze. I due si incontrano nei laboratori della Neberdine Pharmaceutical, un’azienda farmaceutica che promette una cura sperimentale per sistemare ogni problema psicologico o psichiatrico.
I due entrano nella sperimentazione come cavie a pagamento ignorando che, oltre alla cura farmacologica, dovranno superare una serie di prove create da GRTA, un’intelligenza artificiale che li metterà davanti a una serie di prove.
Owen e Annie sono due persone tormentate, distrutte da traumi esterni che non riescono e non vogliono superare. Senza soldi, abbandonati dalla vita e esclusi dalla società, sono i candidati perfetti per dimostrare che l’unico modo per risolvere i problemi è affrontandoli con i giusti strumenti. Per questo GRTA li pone in situazioni paradossali, al limite dell’allucinazione spazio/temporale, costringendoli a rivivere i momenti più traumatici delle loro vite. Ogni volta li trascina in una simulazione in cui, oltre al problema, nasconde anche la chiave per risolverlo.
Lo scopo? Eliminare ogni conflitto interiore per trovare la pace. Almeno, questo è il piano…
MANIAC è una serie tanto interessante quanto pretenziosa. Chiede allo spettatore una pazienza che spesso viene a mancare lungo i 10 episodi di cui è composta la serie. Nonostante l’interesse generato dalla bravura del cast, dalla visione retrofuturistica e dal tema trattato, serve arrivare all’ultimo episodio per mettere assieme i tasselli di un puzzule troppo lungo per essere apprezzato dal grande pubblico
L’intera serie sembra un trip mentale, che oscilla tra i diversi umori dell’animo umano a seconda dello stato transitorio della droga. I dottori sembrano più pazzi dei pazienti, l’IA è più empatica degli esseri umani e non c’è distinzione tra realtà e finzione. Tutto oscilla per 10 episodi alla ricerca di un’equilibrio che arriva solo alla fine e che, per quanto dia un senso di soddisfazione, potrebbe far scappare il pubblico mainstream.
Ed è questo, a mio avviso, il più grande problema della serie: la differenza tra le aspettative di chi la guarda e quelle di chi l’ha scritta e interpretata. Maniac non è per tutti, è solo per chi veramente ama questo genere o per chi vuole affrontare gli alti e bassi delle emozioni umane.
Consigliata, ma se la iniziate non mollatela al terzo episodio.
A presto.
Delos