TRAMA DE IL CANNIBALE
Lute è il responsabile del Reparto Qualità dell’Aletta, un’azienda farmaceutica olandese i cui uffici, affacciati sugli splendidi boschi della Veluwe, ospitano una gran quantità di personale devoto e tutelato da ottimi contratti. Ma improvvisamente da un giorno all’altro l’azienda viene rilevata da un investitore svizzero e l’intero reparto viene dichiarato in esubero. Ora, per ottenere il massimo profitto dalla vendita, a Lute viene assegnato un compito gravoso: convincere decine di fidati colleghi a dimettersi. E così quando Lombard, un cacciatore di teste freelance incontrato per caso, gli offre i suoi servizi, Lute, disperato, li accetta con entusiasmo. Ma non sa che Lombard prende la sua professione terribilmente sul serio. Giorno dopo giorno, mentre il cacciatore di teste si insedia nel suo ufficio in compagnia di un cowboy armato di fucile e un minaccioso cane nero, una serie di episodi inquietanti comincia a funestare i corridoi aziendali… In un romanzo divertente e grottesco, che combina gli elementi del gotico classico con trovate irriverenti dal sapore cinematografico, Tom Hofland fantastica su un mondo surreale eppure così familiare, fotografando spietatamente la deumanizzazione che flagella il mondo del lavoro e portando al paradosso la spinta all’efficienza estrema del nostro tempo.
RECENSIONE DE IL CANNIBALE
“Il cannibale” di Tom Hofland, ambientato in Olanda, è un romanzo che ondeggia tra il surreale e il futuribile in una mimesi del mondo come lo conosciamo ma con un quid di distorto. Giunge in Italia grazie alla Carbonio Editore e su traduzione di Laura Pignatti.
Protagonista è Lute che riveste il ruolo di responsabile del reparto qualità di una ditta farmaceutica. La miccia che dà il via agli eventi qui narrati è data dalla notizia che l’intero dipartimento, di cui è amministratore, verrà reciso di netto perché l’azienda è stata acquisita da un magnate svizzero e il suo capo gli comunica che spetta proprio a lui il compito di indurre i colleghi a dimettersi, per non dover pagare loro l’indennità di licenziamento. Capiamo fin da subito che l’uomo è demotivato e non ha molta “spina dorsale”, anzi sarebbe ben lieto di propinare quest’incombenza a qualcun altro.
E quel qualcuno capita al momento propizio. Uno scanzonato cowboy, Reiner, sembra avere la soluzione perfetta: affidare l’incarico al suo fedele amico e cacciatore di teste Lombard.
Tuttavia, quest’ultimo è molto zelante e scrupoloso nel proprio mestiere e dal suo insediamento in ufficio darà il via a una surreale epurazione. Lombard si rivela un calcolatore, conquista la fiducia di Lute che diventa chiaramente vittima di una manipolazione psicologica volta a minare nel profondo la sua autostima e fargli disconoscere quella che è la realtà oggettiva dei fatti.
“Dio creò lo sparviero in modo che il passero potesse imparare a scappare. Lei è venuto a trovarsi in una situazione che le sta stretta. Quindi ha bisogno di qualcuno che abbia esperienza. Conoscenze. Professionalità. E quel qualcuno, Lute, sono io. Se lei è il passero in fuga davanti allo sparviero, io sono il falco che affonda gli artigli nella carne dello sparviero, e lo scaraventa con forza contro le rocce, spiaccicandolo”.
homo homini lupus (lat. «l’uomo è lupo per l’uomo») è un detto presente nell’Asinaria di Plauto – ripreso in filosofia da Thomas Hobbes – che sembra calzare a pennello con quanto descritto all’interno del romanzo.
Tom Hofland, con questa sua fatica letteraria, non solo ci mostra la crudeltà dell’essere umano anestetizzato di fronte alla violenza altrui, ma ci offre la sua personalissima e cupamente comica visione della brutale freddezza del mondo degli affari, irride puntando i riflettori sul lato oscuro dell’aziendalismo. Affonda gli artigli, richiamando l’attenzione su coloro che antepongono gli interessi personali e gli introiti economici a discapito dei diritti dei dipendenti. Se vi appassiona questo argomento, ritengo abbia delle analogie con altri due romanzi: “La stanza” di Jonas Karlsson e “Il mio lavoro non è ancora finito” di Thomas Ligotti. Entrambi condividono con l’opera di Hofland il tema dell’alienazione e della disumanizzazione all’interno dell’ambiente lavorativo contemporaneo.
“Il cannibale” è un libro dalla prosa asciutta e dalla comicità pungente che parte in sordina ma che, quando la brutalità arriva, esplode e dimostra di essere un degno page-turner.
Fuorviante per via di una moralità che si sgretola come sabbia tra le dita; grottesco, scevro da ogni retorica e surreale al punto tale che c’è stato un momento in cui mi sono sentita letteralmente catapultata dentro a un film di Sergio Leone.
Non mi ha fatto impazzire quell’alone di vaghezza che si respira, tuttavia, mi ha molto colpita e mi sento di consigliarlo per il modo di narrare così disincantato che stride con la ferocia di ciò che ci apprestiamo a leggere.
Elisa R