Recensione di PLUTO, la serie Netflix

Pluto, l’Astro Boy secondo Naoki Urasawa, è su Netflix con un anime fantascientifico di grande spessore.

Trama di Pluto

In un futuro lontano i robot si sono evoluti e hanno ottenuto gli stessi diritti delgi esseri umani. Vivono imitando i loro creatori, imparano e lentamente scoprono il grande valore delle emozioni. Qualcuno, o qualcosa, vuole distruggere i sette robot più evoluti del mondo, gli unici ad aver scoperto i sentimenti. Gesicht, il miglior ispettore dell’Europol, viene incaricato di indagare su questi misteriosi omicidi.

Recensione di Pluto

Prima di parlarvi della serie credo sia doveroso spendere due parole sull’immaginario da cui deriva. Pluto, di Naoki Urasawa, nasce come manga spin-off del celebre Astro Boy (Tetsuwan Atomu) di Osamu Tezuka, pubblicato per la prima volta nel 1952. Astro Boy rappresenta una delle pietre miliari della fantascienza mondiale, oltre che nipponica, e trascina il lettore in un futuro in cui uomini e macchine combattono per gli stessi diritti.

A differenza dell’opera originale, Pluto ha un taglio meno supereroistico e scava nelle più oscure profondità della coscienza e dei sentimenti alla ricerca di quegli aspetti che elevano gli esseri umani al di sopra delle macchine.

La storia, presentata come un thriller fantascientifico, ruota attorno ai sette robot più evoluti della Terra e al misterioso assassino che li sta prendendo di mira. Gesicht è l’ispettore dell’Europol incaricato di indagare sugli omicidi e di scoprire chi, o cosa, c’è dietro la caccia ai robot.

Morte alla macchine! Viva le macchine!

Urasawa prende personaggi già noti a chi ha letto Astro Boy (sopra una comparaizone tra i personaggi originali e quelli ridisegnati per Pluto) e li usa per raccontare un mondo in cui la lotta per i diritti, per l’affermaizone di sé stessi e le discriminazioni flagellano la società. Se è vero che i robot umanodi hanno ottenuto la parità con gli esseri umani, è altresì vero che l’odio verso di loro non ha mai smesso di crescere.

Uno scenario politico che eleva la narrazione, presentando Leggi per la protezione dei diritti dei robot, sistemi di adozione dedicati agli automi e sette estremiste che ne auspicano l’abrogazione o che sfogano il loro dissenso con la violenza.
L’opera immagina una società semi-distopica, triste ma verosimile, in cui le macchine impattano nella società con la stessa forza di una nuova razza aliena in cerca di una casa, o semplicemente di essere libera di vivere in pace.

“La cosa di cui ho più paura sono io, ora che ho imparato ad odiare”.

L’odio è il sentimento più pericoloso, quello che risvelgia anche i cuori più freddi e che ottenebra ogni altro sentimento, ed è al centro dell’intera narrazione. Ognuno dei sette grandi robot ha imparato qualcosa dagli esseri umani, ha appreso un pizzico di sentimento o ha conosciuto l’ombra di un’emozione, ma solo uno di loro conosce l’odio e lo ha appreso come rovescio della moneta dell’amore. E proprio la ricerca di questo sentimento, del suo valore e del modo di combatterlo, è il cuore dell’intera narrazione.

Pluto è un’opera che ci mostra esseri umani immorali, robot capaci di piangere e la follia insita nella perfezione. Ogni episodio ci mostra un lato della vita, un’emozione, lungo una strada oscurata dall’odio.

Forse il finale, l’intero ultimo episodio, risulta un po’ troppo effimero e “giapponese” per un pubblico occidentale, ma nel complesso credo che la serie (così come il manga) valga la pena di essere vista.

A presto

Delos

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