Recensione Nel paese dei ciechi di H. G. Wells

TRAMA NEL PAESE DEI CECHI

Sperduto nelle Ande, Nuñez viene accolto da una comunità i cui membri sono tutti ciechi. Confuso dalla vita laboriosa e dai sensi finissimi dei suoi ospiti, dovrà destreggiarsi fra il proprio senso di superiorità e la loro remota saggezza: anche perché i ciechi si sono prefissi di guarirlo a tutti i costi dalla sua inspiegabile, perversa ossessione per la vista.

RECENSIONE NEL PAESE DEI CECHI

H. G. Wells ha lasciato un’eredità letteraria inestimabile con opere di fantascienza come “La guerra dei mondi” e “L’uomo invisibile“. Ma non è tutto: ha esplorato anche il formato del racconto breve, dimostrando una maestria indiscussa nel condensare trame complesse e tematiche profonde in poche pagine, dando prova che la grandezza di un’opera non si misura nel numero di pagine, ma nella capacità di lasciare un segno indelebile nell’immaginario collettivo.


Un esempio è “Nel paese dei ciechi“, pubblicato per la prima volta nel 1904 e giunto in Italia su traduzione di Franco Salvatorelli per Adelphi. Questo racconto, nonostante la brevità, si distingue per la sua potenza narrativa, coinvolgendo il lettore in una storia che sfida le impressioni e invita a riflettere sulla natura della realtà e della percezione.

Nuñez, il personaggio principale del racconto dall’indole sottilmente egoriferita, sopravvive miracolosamente a una pericolosa caduta durante l’esplorazione di una vetta innevata in Ecuador. Si ritrova in una valle ignota e completamente isolata dal resto del mondo, nota come il leggendario Paese dei Ciechi.
Fermamente convinto, quasi sprezzante, che il suo status di “vedente” gli avrebbe permesso di dominare gli abitanti del villaggio si ripete, quasi come un mantra, un antico proverbio:

Tra i ciechi l’orbo d’un occhio è re, tra i ciechi l’orbo d’un occhio è re“.

Questa ferma convinzione lo porta a muoversi con una sicurezza inaudita, certo che avrebbero ceduto al suo volere senza esitare. Tuttavia, si accorgerà ben presto di quanto la sua opera di persuasione sia vana, paragonabile a Don Chisciotte nella lotta contro i mulini a vento, e di come i ruoli siano capovolti risultando lui stesso inadeguato.

Per il protagonista, la capacità di vedere e, quindi, di poter descrivere le bellezze del mondo è la norma, ma nel Paese dei Ciechi, questa stessa caratteristica lo rende un’anomalia del sistema, un emarginato, ritenuto addirittura inferiore dagli altri abitanti.

Nella sua narrazione, Wells con pochi e mirati tocchi delinea il ritratto di un uomo che, armato di astuzia e di un pizzico di superbia, cerca di trarre vantaggio da una situazione. Tuttavia, le sue ambizioni sono destinate a essere soffocate sul nascere a causa delle convenzioni della comunità in cui si trova.

Un romanzo breve che – servendosi di uno stile asciutto e lineare – si regge su una riflessione più ampia: diventa specchio della società e del suo approccio verso tutto ciò che è considerato “diverso, sfidando al contempo l’idea della normalità come concetto universale.
L’autore, infatti, si avvale di questa peculiare circostanza per indagare le complesse dinamiche sociali che emergono quando ci si rende conto che la normalità è un concetto fluido, fortemente influenzato dal contesto culturale e sociale in cui viviamo.
Un tema profondamente attuale in quanto, ancora oggi, trovo sia una propensione tipicamente umana quella di tentare di allinearsi a degli standard sociali e, infatti, non riusciamo a svincolarci del tutto dal ricercare, in maniera più o meno conscia, adeguatezza o perlomeno uniformità.

Ovviamente trattandosi di una novelette molti dettagli sono volutamente omessi o appena accennati.
Una scelta narrativa consapevole con l’intento di stimolare una sorta di “partecipazione attiva” nel lettore e di lasciargli spazio per l’interpretazione personale.

Elisa R

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