La Terra nell’anno 827 dell’Era galattica: un mondo di diseredati, anzi di paria. Devastata dalle radiazioni ma abitata da una razza ostinata e indomita, l’antica culla dell’umanità sta per trasformarsi in un campo di battaglia. Le forze in gioco: l’alta gerarchia terrestre, decisa a congiurare contro il potere imperiale per restituire alla Terra le antiche glorie; l’immenso Impero Galattico, forte di duecento milioni di pianeti e che nessuno può sconfiggere; un pugno di terrestri leali all’impero, un archeologo, un’arma segreta e soprattutto Schwartz, l’uomo venuto dal passato. Saranno queste le pedine che, su un’immensa scacchiera, decideranno le sorti dell’umanità in un intreccio tipico del miglior Asimov. Una vicenda ambientata nell’universo delle Fondazioni, ma prima del crollo dell’Impero e quando Trantor governava al massimo dello splendore su tutto l’universo conosciuto.
RECENSIONE
Il romanzo di Asimov Paria dei cieli (1950) ristampato nella collana celebrativa Urania 70 anni di futuro con la traduzione di Giuseppe Lippi, rappresenta l’ultimo capitolo del Ciclo dell’Impero Galattico (che contempla anche i romanzi Il tiranno dei mondi e Le correnti dello spazio). Si tratta di uno dei grandi classici della fantascienza americana. E resta, a dispetto dell’età, uno dei più godibili.
La narrazione presenta un insolito, per l’epoca, scenario distopico: la Terra è infatti ridotta a un ambiente invivibile, devastata dalle radiazioni conseguenza di una guerra atomica. L’umanità vive ridotta a pochi milioni di terrestri, considerati come reietti dal resto delle civiltà che la dominano e che le impongono una politica demografica spaventosa, all’età di sessanta anni, infatti, ogni terrestre deve essere eliminato.
In questo mondo così difficile si trovano alcuni personaggi molto diversi fra loro: Schwartz, un povero vecchio sarto che è stato catapultato dal passato terrestre a questo futuro incomprensibile per colpa di un esperimento scientifico andato male; Alvardan che proviene dal sistema di Sirio, ed è un archeologo interessato a studiare i reperti dell’antichità terrestre per dirimere una questione scientifica: è vero che l’intera civiltà galattica proviene dalla espansione della razza terrestre?
E poi c’è uno scienziato, Shekt, che con la collaborazione della figlia Pola ha inventato una macchina capace di sviluppare immensamente le facoltà intellettuali di un essere umano. E che sogna di usarla per consentire ai terrestri di rivoltarsi dal giogo in cui si trovano e riprendere un posto dignitoso nel sistema e così liberarsi di questa fama di “paria dei cieli”.
Schwartz, scambiato per un povero demente in quanto disorientato e incapace di comprendere il linguaggio dei terrestri del futuro, viene sottoposto all’esperimento del dottor Shekt e sviluppa straordinarie capacità, impara a parlare, ma sa anche leggere nel pensiero.
Alvardan scopre un complotto ordito dal Governatore terrestre, che vorrebbe lanciare nello spazio un virus al quale solo i terrestri sono immuni, così da distruggere l’impero galattico e ristabilire il dominio terrestre.
Tutta la parte finale del romanzo è una concitata e appassionante avventura, tra i terrestri in complotto, i tre protagonisti e il Governatore. Non svelerò il finale anche se da Asimov ci si può aspettare sempre una soluzione conciliante e non apocalittica.
Va detto che lo stesso Asimov in seguito ha corretto una fastidiosa caratteristica del romanzo che sembra immaginare una possibile convivenza degli umani con un ambiente contaminato dalle radiazioni. “Allora – scrive nel 1982 – mi sembrava legittimo supporre che la Terra potesse essere radioattiva e che la vita dell’uomo continuasse nonostante tutto. Oggi non lo credo più.”
Negli anni ’50 l’ottimismo statunitense aveva ancora la meglio sulla follia di una possibile guerra atomica. Oggi sappiamo bene che nessuno ne uscirebbe vincitore.
A parte questo particolare il romanzo resta straordinariamente piacevole e avvincente come pochi. Una lettura da non perdere.
STEFANO ZAMPIERI