Nel 2023 ormai sentire parlare di intelligenze artificiali ci appare quasi naturale, come parlare di smartphone o o videogames. A dirla tutta, il concetto stesso di intelligenza artificiale è qualcosa che tutt’ora ci piomba in uno scenario a tratti spaventoso.
Ci basti pensare alle I.A. che permettono di creare immagini dal nulla, o di comporre musica, o ancora… scrivere un codice di programmazione o un romanzo. Parlare di intelligenza artificiale ci porta a pensare automaticamente al peggiore degli scenari.
E no, non parlo di un possibile Skynet che desidera la distruzione della razza umana come avveniva in Terminator, ma di uno scenario più fattibile in cui l’operato dell’essere umano risulta essere obsoleto e quindi facilmente sostituibile.
Uno scenario simile avviene già in Detroit Become Human. Sì, lì si parla di androidi ma questi vanno a braccetto con le intelligenze artificiali.
Il concetto di intelligenza artificiale è qualcosa che separa in due le opinioni del popolo: da una parte ci sono coloro che vedono una possibilità vantaggiosa nell’utilizzo delle I.A.; dall’altra parte ci sono coloro che preferirebbero cancellare ogni forma di I.A. prima che sia troppo tardi.
Se è vero che le intelligenze artificiali potrebbero sostituire il lavoro dell’essere umano, è anche vero che potrebbero aiutarci ad avere ciò che non possiamo permetterci. Dei desideri che potrebbero realizzarsi solo ed esclusivamente grazie all’ausilio di queste ultime.
Ed è proprio da questo incipit che il talentuoso regista Steven Spielberg, e la sua casa di produzione, Amblin, nel 2001, ha scritto e diretto uno dei film più dolci e toccanti che abbia mai visto e di cui tutt’ora porto un bellissimo ricordo.
Al punto che qualche giorno fa, facendone il rewatch, mi ha emozionato esattamente come aveva fatto la prima volta che lo vidi. Nessun titolo particolare per un film il cui protagonista è un’I.A.
Oggi vi parlo di A.I. – Intelligenza Artificiale.
Vieni via, oh piccolo umano
L’anno è il 2125. L’effetto serra e il surriscaldamento globale hanno fatto sì che i ghiacciai si sciogliessero e il livello degli oceani si innalzasse al punto che buona parte delle più grandi città del mondo risultano ormai sommerse.
Per contrastare la sovrappopolazione, delle nuove leggi impediscono alle coppie di avere più di un figlio. Ed è proprio qui che entra in gioco la Cybertronics, un’azienda produttrice di automi che, all’inizio del film ha già creato svariati modelli sparsi ormai in tutto il globo.
Ma c’è uno sviluppo improvviso che può venire in aiuto alle famiglie che per forza di cose non possono avere un figlio. La Cybertronics ha infatti creato il primo modello di automa (o Mecha, come li chiamano nel film) non solo con le sembianze di un bambino, ma anche con dei veri sentimenti di un bambino.
Il primo modello, chiamato David, viene assegnato ai coniugi Swinton, Monica ed Henry, i quali hanno già un figlio ma affetto da un grave male e quindi ibernato fin quando non si troverà una cura adatta. Inizialmente Monica è titubante, anche per la recente “perdita” del figlio naturale, ma alla fine cede alle pressioni del marito.
Una volta giunto a casa, David (interpretato da un giovane Haley Joel Osment) non è altro che un automa come tanti, senza alcun sentimento ma ugualmente curioso come potrebbe essere un cucciolo che si affaccia ad un nuovo mondo per la prima volta.
Infatti è l’imprinting ciò che aziona realmente David: una serie di parole dette in ordine che, una volta pronunciate, donano a David la capacità di dare l’amore che un figlio da ai propri genitori. C’è un piccolo particolare: l’imprinting è irreversibile e una volta attivato, David non potrà tornare ad essere un semplice automa senza sentimenti.
Verso le acque e l’immenso spiano
David viene quindi attivato e riconosce Monica, colei che ha fatto l’imprinting, come sua madre. La vita degli Swinton sembra aver ripreso un colore differente, più gioioso, grazie proprio alla presenza di David nelle loro vite. Viene inoltre regalato un Teddy a David, un robot orsacchiotto, appartenuto al vero figlio della coppia.
Quando però arriva la notizia che è finalmente stata scoperta una cura per Martin, il figlio biologico dei due, il ragazzino si risveglia e torna a casa. Purtroppo, Martin non riesce a vedere in David un fratello ma ovviamente un androide di cui essere geloso.
Vengono quindi attuate vere e proprie cattiverie e dispetti da parte di Martin nei confronti di David, fin quando dopo l’ennesimo incidente avvenuto in piscina (a causa di una reazione di auto-difesa da parte di David, stuzzicato con un coltello da cucina), i coniugi Swinton prendono la più drastica delle scelte: sbarazzarsi di David.
Dato che l’imprinting è già stato fatto, l’unico modo per eliminare David è riportarlo alla Cybertronics e distruggerlo. Ma Monica è talmente legata a David da preferire qualcosa di differente (e a tratti anche più crudele). Abbandona David insieme a Teddy in un bosco per poi sparire dalla sua vita per sempre.
Da qui inizia il viaggio di David, ma non per tornare a casa e ritrovare Monica, ma per trovare qualcosa che la sua mente da bambino reputa reale: la Fata Turchina che possa esaudire il suo desiderio di diventare un bambino vero affinché Monica possa amarlo nuovamente (no, non sto piangendo, mi è solo entrata un’intelligenza artificiale nell’occhio. Voi state piangendo!)
Alla Fata la mano darai
Non sto a raccontarvi per filo e per segno ogni passaggio di A.I. – Intelligenza Artificiale, rischierei di rovinare la visione di un bellissimo film a chiunque di voi non lo abbia mai visto e che abbia deciso di iniziarne la visione.
Vi dico semplicemente che il viaggio di David sarà un viaggio unico, ma anche drammatico, che si trasforma paradossalmente in una versione malinconica e crudele della favola di Pinocchio. David avrà sempre con sé Teddy, che fungerà da grillo parlante pronto a dire al piccolo mecha ciò che è meglio fare e no, ma entrerà in scena anche Gigolò Joe, interpretato da un brillante Jude Law che gli starà a fianco e sarà per l’androide quasi una figura paterna.
La recitazione degli attori è magistrale, in primis quella del giovane Osment che, esattamente come mi aveva colpito anni fa, ha continuato a colpirmi anche oggi. Se solo vedeste il momento dell’imprinting capireste quanto la bravura dell’attore è grande. Riesce, infatti, a passare da un’espressione quasi vuota tipica di un oggetto senza alcun sentimento ad una, invece, carica di sentimenti rivolti a Monica. Il tutto in due soli secondi. Se non è bravura questa…
Perché il mondo è più pieno di pianto
A.I. – Intelligenza Artificiale è un film bellissimo, triste e malinconico. I sentimenti che può provare una macchina, una I.A. sono talmente reali all’interno della pellicola al punto da farci domandare “Arriveremo mai a questo punto?” e se la risposta sarà un “sì“, la domanda successiva sarà “Saremo davvero pronti per qualcosa del genere?“
Impariamo a vedere David inizialmente come un automa, per poi vederlo come un bambino che vuole soltanto l’amore della propria madre ma che sa che non potrà averlo in quanto non reale. Proviamo paura nel vederlo da solo, proviamo tristezza nel vederlo abbandonato come un cane in autostrada, proviamo divertimento nel vederlo accompagnato da Joe.
Queste sensazioni ci fanno quasi dimenticare che David sia in realtà un prodotto sintetico, e proviamo una rabbia assurda quando il film ce lo ricorda e ci sbatte in faccia la dura verità. Quella verità che è difficile da accettare per noi, quanto per David.
Avvertiamo una vera e propria gioia alla fine del film, ma subito dopo quella gioia si trasforma in una stretta al cuore quando capiamo che non c’è nulla di cui gioire. E allora subentra nuovamente la tristezza, perché sì… A.I. – Intelligenza Artificiale non è un film con un lieto fine come siamo abituati a vederlo.
Ma questo è un argomento per un’altra volta, magari per un approfondimento più dettagliato.
Di quanto capire potrai
A.I. – Intelligenza artificiale è ben lontano da ciò che si può definire un film distopico. Sì, ci sono elementi che fanno capire che la Terra è stata colpita da un orribile cataclisma, ma per lo più è una storia d’amore. Lo stesso amore che un bambino può dare ad un genitore.
Un amore che è vero fino all’ultimo secondo, sebbene provato da qualcuno… o meglio, qualcosa che non è per niente vero.
Piccola curiosità sul film: inizialmente questa sarebbe dovuta essere una pellicola di Stanley Kubrik, che però aveva rimandato per una questione riguardante la tecnologia poco sviluppata negli anni ’90. Con la dipartita di quest’ultimo, il progetto venne preso in mano da Spielberg che ne portò avanti la produzione.
Ciò che vediamo, infatti, non è tutta farina del sacco del padre di E.T. e forse è anche per questo che le sensazioni e le emozioni provate con la visione di questo film non sono propriamente felici e c’è quel gusto amaro che ti pervade non appena partono i titoli di coda.
Se ve lo consiglio?
Assolutamente sì!
Sia che non l’abbiate mai visto, sia che l’abbiate già visto… un rewatch non fa mai male.
Detto ciò, sono ben lieto di sapere la vostra opinione.
Alla prossima recensione!
Ron.