Alcuni articoli non vorrei mai trovarli sui giornali. Desidererei tanto pensare che nel 2020 la necessità di ribadire alcuni concetti fosse assolutamente superflua.
Invece no.
In Italia c’è il diritto all’aborto, partiamo da questo punto.
Tale concetto base dovrebbe garantire a ogni donna un’interruzione di gravidanza, se non serena, quantomeno umana. Senza giudizi, senza preconcetti. È comprensibile che possano esserci opinioni divergenti riguardo, ma resta una facoltà di scelta garantita per legge.
Eppure non è così facile.
Perché ci possono essere mille motivi che spingono una donna ad abortire, e già qui le difficoltà non mancano. Poi ci si mettono di mezzo i tempi pratici, burocratici, i meccanismi sempre troppo lunghi. Infine, la stoccata più pesante la danno gli obiettori di coscienza. Dottori che decidono cos’è meglio fare al posto tuo. Ginecologi che ti dicono quanto sia giusto far nascere un bambino senza aspettative di vita, ostetriche che non vogliono praticare aborti in sala parto, anestesisti che si rifiutano di somministrare la terapia del dolore mentre una donna viene lasciata a spingere da sola, in un bagno. Infermiere che ti guardano con disprezzo mentre sei costretta a letto, nello stesso reparto di ostetricia di chi ha portato a termine con successo la gravidanza e tiene tra le braccia il proprio figlio.
Questo succede nel tentativo di esigere quanto ci spetta. È crudele.
Parlo di aborto terapeutico oltre ai tre mesi, è chiaro, ma la situazione non migliora negli altri casi.
Manca il lato umano.
E a ogni modo il problema non è semplicemente etico.
La legge sancisce, al di là di ogni ragionevole dubbio, un diritto che viene costantemente leso.
Una donna deve poter fare affidamento sulle strutture sanitarie pubbliche e sui dipendenti che ci lavorano, deve poterlo fare sempre, perché le serve, non ha alternative. Invece i giudizi sono troppo forti, le opinioni hanno troppo peso.
Disapprovare l’aborto è comprensibile, l’obiezione di coscienza è un diritto tanto quanto l’interruzione di gravidanza, ma c’è un dettaglio da non dimenticare. Mentre un dottore svolge il suo compito all’interno di un ospedale statale non gli viene richiesta alcuna consulenza etica. No. La paziente può scegliere per se stessa, ha delle tutele inalienabili ottenute con lotte e votazioni.
Nessun verdetto esterno, nessuna sentenza personale. E per chi non riuscisse a frenare il proprio bisogno di imporre un certo tipo di pensiero, basterà cercare impiego nella sanità privata. Niente di più.
La libertà degli altri va rispettata, e non è un concetto discutibile.
Sono decisioni estreme? Sì, ma ogni donna ha la facoltà di prenderle, e non esiste medico che si possa intromettere tra lei e questa conclusione.
Sembra un concetto semplice, no?
Eppure non è così facile. Eppure non è così.
Michela