Recensione: “Il Dio del Dubbio” di Francesco Bizzini.

Salve, gentaccia distopica! Pronti a combattere il potere e darsi all’anarchia? Ecco una cosa che fa per voi, allora. Il romanzo del quale parliamo adesso è scaricabile gratuitamente da questo sito: https://ildiodeldubbio.wordpress.com/.
Questo perché è “Un romanzo che nessuno ha voluto pubblicare, lasciato precario nelle mie mani (che) non poteva essere strumento di ulteriore disinteresse, sfruttamento e precariato nel mondo reale” come dice lo stesso autore su ilfriuli.it. Oltre 500 pagine – una sfida per la maggior parte delle case editrici, sfida non accettata – nelle quali Bizzini ci racconta una storia di lotta al potere.

Eccovi la trama, con il solito copia e incolla:

E se ogni atto terroristico, ogni bomba, ogni strage, ogni aereo caduto, dirottato, sparito dalla fine del secondo conflitto mondiale a oggi non fosse “un mistero d’Italia”, ma gli scossoni uterini di una gestazione binaria, l’incubazione di un dio digitale, un invasivo algoritmo di ricerca web che sta per nascere a Milano e tutto dominare? Se piazza Fontana non fosse esplosa per mano “dei neri”, bensì per distruggere un prototipo avanzato di Dna-microchip di tale mostro? Se la bomba del ’93 in via Palestro non fosse “di mano mafiosa”, ma un modo per uccidere una spia della fazione opposta chiamata Rebooters, fazione che caparbiamente, dagli anni ’50, sta cercando di impedire la nascita di quel tiranno digitale? In questo contesto di guerra decennale a bassa intensità, in questo frame, tra narrazione del presente e fughe nel futuro, si innestano le vicende di un gruppo di precari, figli di una Milano che espelle chi non è capace di stare al suo ritmo, rinnegati, freak, anarchici che, dopo l’ennesima strage che investe la nazione, decidono di costituire un gruppo hacktivista per raccontare la verità su questa “natività digitale”, scoprendo ben presto a loro spese che l’unica verità possibile è già scritta: in questo presente (e nel futuro) i problemi non si risolvono mai, semplicemente si fa fuori chi li pone.

Devo ammettere che le prime pagine sono state difficili da leggere. Lo stile dell’autore – terza persona, onnisciente – sembra volerti schiaffeggiare con termini pesanti e a volte criptici, similitudini a bizzeffe – a mio avviso, spesso non necessarie – metafore su metafore, come a voler dimostrare di esserne in grado – o almeno, è questa l’impressione che ho avuto. Ma – e questo ma è importante – lo stile può ricordare anche classici che oggi sarebbero fuori moda: una volta abituato alla scrittura, si riesce a entrare nel vivo delle pagine, a captare i messaggi e a seguire la trama.

Appena ho finito il romanzo, mi è apparso evidente che l’autore volesse puntare molto sul messaggio: la lotta al potere in ogni sua forma e con tutti i mezzi. E qui il potere è un dio digitale che tutto vede e tutto sa. I personaggi si muovono su uno sfondo politico analogo ai giorni nostri, c’è la critica al fascismo, la critica al comunismo, la critica alla politica in generale. Soprattutto all’inizio del testo, diciamo per il primo terzo del volume, sembra che tutto – ogni azione, ogni movimento – sia rapportato all’orientamento politico. Ammetto che non ho compreso la trama; per dirla tutta non ho compreso una beata mazza: alle prime pagine mi sembrava solo scrittura criptica e scene intrecciate a caso. Non sapevo se la cosa fosse voluta o meno, ma è una frase dell’autore che mi ha tolto il dubbio: “Questo mio lavoro è nato per caso, sedendomi e iniziando a scrivere senza la più pallida idea di dove il racconto mi stesse portando.” (ilfriuli.it)

Anche qui c’è un grosso ma. Da un certo punto in poi sembra che le scene inizino a collegarsi tra loro, si inizia a capire perché un personaggio si muova in una direzione invece che in un’altra. Ho trovato delle righe succose di suspense, righe che fanno riflettere e righe che semplicemente intrattengono. Un mix che ogni libro dovrebbe avere. Questo è un grosso punto a favore del testo.

Sui personaggi purtroppo sarò più cattivo. Non perché non siano caratterizzati, ma perché si disegna il proprio carattere fino all’ultimo pagina. Lo so, chi ha già letto qualche mia recensione dirà che in passato me la sono presa con i personaggi disegnati di fretta in una pagina; ora mi contraddirei se criticassi la scelta di prendersi tutto il libro per dare loro forma. Ecco, credo che ci debba essere un equilibro. Mi spiego meglio prendendo un esempio: Doctor Who, uno dei miei personaggi preferiti tra l’altro nel romanzo di Bizzini. Pur avendo letto quasi metà del libro, scopro solo in un secondo – o terzo – momento che questo abbia i capelli rasta. Scopro solo dopo che l’ho visto in azione varie volte che lui è uno per la pace interiore. Perché questo dà fastidio? Perché io me l’ero immaginato completamente diverso, visto che l’autore me lo ha lasciato fare.
E sarò ancora più cattivo – non perché mi diverta, ma perché penso che il volume abbia un enorme potenziale – affermando che mi è parso di sentire il cambiamento dei personaggi là dove la trama lo necessitava. Sono piccolezze, lo so, ma se sto qui a dirvele è perché, alla fine, questi personaggi sono rimasti impressi, in un modo o nell’altro. Sto spulciando l’uovo, ma questo è uno degli aspetti negativi del libro, che insieme allo stile iniziale, rende difficile la lettura in certi punti.

Un aspetto che mi è piaciuto molto invece è la struttura del romanzo che ha contribuito positivamente. La linea principale è quella del presente, che da una parte racconta la nascita di questo dio digitale e dall’altra narra invece dei Reebooters, i nostri protagonisti che cercano di impedire l’ascesa del dio. Abbiamo poi dei salti nel futuro, soprattutto nel 2029, dove il libro si spoilera praticamente da solo. E la domanda che il lettore si fa è: perché? Una domanda positiva, che mette un tarlo nella testa del lettore, cercando di capire come si muoveranno i Reebooters, avendo però un’idea di come andrà a finire. Ammetto che non pensavo che la cosa funzionasse, dopo aver letto il primo salto nel futuro. E invece, funziona! Non ho capito bene il perché – limite mio – ma queste sorte di spoiler hanno contribuito a rendermi la lettura piacevole.

È un libro particolare, a mio avviso, quasi un manifesto per certi versi. Una bella idea, quella del dio digitale, sviluppata a volte in maniera eccelsa, altre volte con meno attenzione. Sicuramente la storia e il messaggio finale, che non sto qui a dirvi, mi rimarranno impressi per molto tempo.

E ora la smetto di stare a giudicare. È un libro da consigliare, secondo me? Se piace la politica (o se la si odia), sì. Se si odia il potere (o se piace), sì. Se invece cercate una lettura di intrattenimento, una lettura che ti lascia sì qualcosa, ma che non sia il suo scopo principale, be’, allora dovete superare il primo terzo del libro quando le scene iniziano ad essere ben collegate tra loro.

Vi ricordo il link dove potete scaricarlo: https://ildiodeldubbio.wordpress.com/

Alex Coman

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