Distopia, cosa significa?

Sempre più di frequente si sente parlare di distopia, spesso a sproposito o in termini di estrema critica verso alcuni tipi di storie.

In questo breve articolo, che scrivo senza alcuna presunzione di autorevolezza, vorrei provare a spendere due parole su quello che, per me, è il significato della distopia.

Partiamo dal significato del termine

Se si cerca il significato della parola distopia sui principali vocabolari si ottengono due risultati:

1 – La dislocazione di un viscere o di un tessuto dalla sua normale sede.

2 – Previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi (equivale quindi a utopia negativa)

In entrambi i casi il termine evoca “negatività e “qualcosa di brutto” o “che non è come/dove dovrebbe essere”. Il che è corretto se si pensa che la distopia non è altro che una trasposizione estremizzata dei problemi e delle paure del presente.

Secondo l’Oxford English Dictionary, il termine fu coniato nel 1868 dal filosofo John Stuart Mill, rielaborando la cacotopia proposta da Jeremy Bentham nel 1818. Entrambe le parole si basano sulla negazione o sull’apposizione di malvagità del termine utopia: “δυς-” (dys)= “cattivo”, un prefisso inseparabile che aggiunge il concetto assolutamente negativo di contrarietà, difficoltà, dubbiezza, rafforzando nella parola a cui è unito, o “κακός” (cacòs) = “cattivo”. La distopia, detto in parole semplici, rappresenta un luogo cattivo e maligno. L’esatto contrario dell’utopia in cui tutto va come dovrebbe andare nel migliore dei sogni.

Una parola creata solo per rappresentare il lato oscuro del mondo, quello contrapposto all’utopia a cui si dovrebbe ambire.

Ma allora perché questa semplice parola ha così tanto potere?

Come spesso accade la risposta è nascosta dentro gli elementi che compongo il problema.

ou = “non” e τόπος, (topos) = “luogo” e significa “non-luogo”, che acquisito l’accezione di “luogo ideale” con grazie all’omofono εὖ- (eû) = “buono o bene” spesso sostituito a ou

“δυς-” (dys) = “cattivo”, un prefisso che aggiunge il concetto altamente negativo di contrarietà, difficoltà, erroneità, dubbiezza, e “τόπος” (topos) = “luogo”. Ovvero “cattivo-luogo.

L’utopia indica un luogo ideale, perfetto, ma inarrivabile in quanto inesistente. Un traguardo a cui ambire con la consapevolezza di non poterlo raggiungere.

La distopia, invece, è reale. Non c’è nulla che ne neghi l’esistenza, anche nella sola veste di “puro significato della parola” ed è tristemente e facilmente raggiungibile.

La distopia non è un semplice genere letterario, è una trasposizione dei pericoli percepiti nella società presente ma collocati in un contesto distante nel tempo o nello spazio. È un monito a non perseverare nell’errore, a porre rimedio prima che sia troppo tardi. Non esiste un’unica visione della distopia e non può essere incasellata in topoi di genere in quanto si modifica in base al periodo storico, al luogo in cui è nata o alla sensibilità della persona che la sta scrivendo.

Questa semplice parola incanta, spaventa e ammalia perché racchiude le paure della specie umana e la speranza di non incapparci. Ci mostra in che mondo abbiamo rischiato di vivere, quali pericoli abbiamo evitato e quali ancora ci attendono all’orizzonte se non combattiamo per evitarli. E non si tratta di pure speculazioni, la storia recente può raccontarci di come la paura del fordismo, della bomba atomica o dei totalitarismi abbiano influenzato le ansie collettive, al pari di quello che accade oggi con l’isolamento sociale o la crisi climatica.

Per questo ci sono tante opere distopiche?

Per quanto ne dicano, la distopia (per me) non è un “genere” narrativo, è un grido di avvertimento che si rivolge a chi ha orecchie per sentire. Certo, negli anni è stata utilizzata (a sproposito) per catalogare qualsiasi cosa, dai film sugli alieni che conquistano la Terra a storie in cui una famiglia vive nel deserto, ma non per questo bisogna confondere l’uso commerciale del termine da quello reale. Io per primo su questo sito ho allargato il termine per far rientrare moltissime opere che di distopico hanno meno di una manciata di parole, messe lì esclusivamente per accontentare il pubblico.

La distopia ci mostra un futuro che dobbiamo evitare e che si basa sui problemi del nostro presente, che sono diversi da quelli degli anni ’90, dalla paura della Guerra Fredda o dell’esperimento di controllo sociale di Mao. Racconta la nostra società attraverso la lente del fallimento di chi ha la sensibilità di sviscerare il male per trasportarlo altrove, affinché il popolino possa rimanerne così terrorizzato da evitarlo.

Ovviamente, vuoi per il fascino del male, vuoi perché è più semplice raccontare una storia ambientata in un mondo difficile, c’è stato un proliferare di opere pseudo-distopiche che però di distopico non hanno nulla. La maggior parte di chi le ha scritte ha preso il futuro immaginato da altri e lo ha riutilizzato per ambientarvi una nuova storia. La cultura moderna, passatemi questo pensiero, ha trasformato la distopia in un’ambientazione. L’ha fusa con altri eventi per creare Distopie post-apocalittiche, Distopie Zombie, Distopie Cyberpunk etc… Raccontare un futuro in cui, dopo la caduta di un asteroide che ha spazzato via il 90% della razza umana, i sopravvissuti sono ammassati in una città militarizzata in cui vige la legge del più forte non è distopia: è un apocalittico (o post-apocalittico) in cui ci sono elementi distopici usati per mostrare una società ostile.

La distopia dilaga, forse visto il contesto si dovrebbe dire domina, perché da a tutti l’illusione di poterla controllare. Attrae come una fiamma fa con una falena, riesce a dare un’etica al male e ci fa sentire meno colpevoli dei nostri misfatti (spero piccoli), ma non è quello lo scopo per cui è nata.

A presto

Delos

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *